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La rubrica Studi & Salute – a cura di Beatrice Silenzi giornalista e direttore responsabile di Fabbica della Comunicazione – ospita la psicoterapeuta Cristina Ombra

NEW AGE E RISCHI: DIFENDERSI DAI GURU

In un’epoca caratterizzata da un’incertezza crescente e da un profondo bisogno di risposte, l’offerta di percorsi di crescita personale e spirituale è letteralmente esplosa.
Dalla mindfulness alla meditazione, passando per un vasto universo di pratiche olistiche, sempre più persone cercano strumenti per gestire lo stress e trovare un senso di pace interiore.

Tuttavia, dietro la promessa di un benessere facile e immediato si nascondono insidie significative.
La psicoterapeuta Cristina Ombra mette in guardia contro i pericoli di un approccio superficiale, evidenziando fenomeni come il “bypass spirituale”, la “sindrome del Messia” e la tossicità del pensiero positivo a tutti i costi.

Il punto di partenza è una diffusa incomprensione della mindfulness stessa. Spesso commercializzata come una tecnica per raggiungere uno stato di perenne tranquillità, la pratica, nata dal protocollo Mindfulness-Based Stress Reduction di Jon Kabat-Zinn negli anni ’70, consiste in realtà nel “portare l’attenzione al momento presente in un modo non giudicante”.
Come sottolinea la dottoressa Ombra, questo non significa eliminare le emozioni negative, ma, al contrario, imparare a stare con esse.

La meditazione ci mette in contatto con tutte le parti di noi, comprese quelle scomode, spiacevoli e dolorose.
Se questo processo non è guidato da un insegnante esperto e qualificato, il rischio è quello di cadere in una trappola pericolosa: il cosiddetto “bypass spirituale”.
Questo concetto, identificato già negli anni ’70, descrive l’uso di pratiche e credenze spirituali per evitare di affrontare i propri problemi emotivi, traumi irrisolti e conflitti interiori.

La persona crede di stare bene, di aver raggiunto un livello superiore di consapevolezza, ma in realtà sta semplicemente negando o dissociandosi da emozioni come rabbia, paura e tristezza.
È una fuga da sé stessi mascherata da illuminazione, un distacco emotivo che impedisce qualsiasi reale processo di guarigione.
Il bypass spirituale è il terreno fertile su cui prospera un’altra tendenza allarmante: la proliferazione di guru e “guaritori” improvvisati.

Soprattutto nell’era post-pandemica, la rete è invasa da figure che promettono soluzioni magiche e trasformazioni lampo: “sciogli i tuoi nodi karmici in tre sessioni”, “raggiungi l’illuminazione in un weekend”.
Questi personaggi, spesso affetti da quella che la dottoressa Ombra definisce la “sindrome del Messia”, si propongono come detentori di verità assolute, sfruttando la vulnerabilità e il bisogno delle persone.

Il campanello d’allarme dovrebbe suonare ogni volta che viene proposta una soluzione rapida e senza sforzo.
La vera crescita psicologica e spirituale è un percorso lungo, difficoltoso e che richiede di affrontare le proprie parti oscure, non di aggirarle con una formula magica.

Strettamente connesso a questo fenomeno è l’ego spirituale, simboleggiato in alchimia dalla “Cauda Pavonis”, la coda del pavone. Si tratta di un meccanismo attraverso cui l’individuo si identifica con le tecniche spirituali che adotta, costruendo un’identità superiore e nascondendo le proprie insicurezze dietro una facciata di saggezza.
Questo atteggiamento è l’esatto opposto del presupposto fondamentale di ogni autentico cammino spirituale, sia esso buddista, cristiano o di altra natura: l’umiltà.

Il vero percorso interiore non consiste nell’accumulare conoscenze per sentirsi superiori, ma, come suggerisce la tradizione Zen, nel “sottrarre”: eliminare le false credenze, le identificazioni e i condizionamenti per entrare in contatto con la propria essenza.
Questo processo di sottrazione si scontra frontalmente con un altro dogma della New Age: il pensiero positivo tossico.
L’idea che si debba essere sempre felici e ottimisti è profondamente dannosa.

Quando una persona vive un lutto, una malattia o una difficoltà, sentirsi dire “sii positivo” o “se non stai bene è perché non pratichi abbastanza” genera un profondo senso di colpa e inadeguatezza. Abbiamo il diritto di essere tristi, arrabbiati e spaventati.
Negare queste emozioni significa tagliare parti vitali di noi stessi.
La vera accettazione non è rassegnazione, ma un processo attivo in cui si riconosce la situazione, si comprende cosa si può e non si può cambiare, e si impara dalla propria esperienza.

Infine, per non perdersi in astrazioni mentali, è cruciale il radicamento nel corpo.
Le pratiche di mindfulness più valide, come il body scan, integrano la dimensione corporea, poiché è attraverso le sensazioni fisiche che possiamo ancorarci al presente e distinguere un’esperienza autentica da una dissociazione.
Siamo sempre più disconnessi dal nostro corpo e dalla natura, e questo ci rende più vulnerabili alla ruminazione mentale.

L’obiettivo della meditazione non è spegnere la mente, ma osservare i pensieri come se fossero proiettati su uno schermo, senza identificarci con essi.
È fondamentale dubitare delle guarigioni lampo e dei maestri carismatici che offrono scorciatoie.
La vera trasformazione richiede di integrare l’approccio psicologico con quello spirituale, riconoscendo che non si può costruire un edificio solido senza prima aver curato le fondamenta.
Significa avere il coraggio di affrontare il proprio dolore con umiltà, accettare la propria imperfezione e comprendere che la crescita è un processo lento, fatto di piccoli passi, che dura tutta la vita.

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