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Su Fabbrica della Comunicazione, Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile – si occupa della rubrica, “Comunicazione e Dipendenze”, in collaborazione con Studi & Salute Bolgan.
Ospite di questo appuntamento è la dott. Cristina Ombra, psicoterapeuta.
Oscuro Fascino del Crimine: Perché Siamo Ossessionati dal Male e Come Sta Cambiando la Nostra Psiche
C’è un’attrazione quasi magnetica che ci spinge verso l’abisso. Un’eco lontana di un delitto efferato, consumato quasi vent’anni fa, torna a dominare le conversazioni, i palinsesti televisivi e i feed dei social media.
È il caso del delitto di Garlasco, l’omicidio di Chiara Poggi, che, come una marea carsica, riemerge con una forza inaspettata, catturando l’attenzione di una nuova generazione e riaccendendo quella di chi lo seguì all’epoca.
Questo non è un fenomeno isolato. Viviamo nell’età d’oro del true crime: podcast che sezionano casi irrisolti, serie TV che drammatizzano le gesta di serial killer, canali YouTube dedicati all’analisi forense amatoriale.
Persino format televisivi consolidati, come Belve di Francesca Fagnani, si avventurano in spin-off tematici, i cosiddetti “Belve Crime”, a testimonianza di una domanda di mercato insaziabile.
Ma cosa si cela dietro questa fame collettiva per il macabro, la violenza e la sofferenza altrui? Perché siamo così irresistibilmente attratti dalle storie più oscure dell’animo umano?
È semplice curiosità morbosa o c’è qualcosa di più profondo, radicato nella nostra stessa psicologia?
Il caso di Garlasco è emblematico. Un delitto avvenuto nel 2007, prima dell’avvento di Netflix come colosso dello streaming e dei podcast come fenomeno di massa, oggi vive una seconda, potentissima, giovinezza mediatica.
Si ritorna con tutte le reti televisive, ma anche sul web, chiaramente, a parlare di nuovo dell’omicidio di Chiara Poggi.
Questo ritorno non è casuale, ma è il sintomo di un cambiamento culturale e tecnologico. La cronaca nera non è più un appuntamento serale confinato al telegiornale o a programmi specializzati.
La Dott.ssa Ombra identifica un primo fattore chiave: siamo “generalmente bombardati di informazioni”. Questa sovrabbondanza crea l’illusione di sapere tutto di tutti, un’illusione che nutre una curiosità che, a volte, “diventa morbosità”. Ma c’è una distinzione cruciale che la dottoressa sottolinea: quella tra un'”ingordigia di informazioni” e una reale comprensione della realtà.
La prima è un consumo passivo e bulimico di dettagli, spesso cruenti, che non porta a una vera consapevolezza. La seconda richiede riflessione, contestualizzazione ed empatia.
In questo panorama, è emersa una nuova figura: l’armchair detective, il detective da poltrona. Milioni di persone si sentono investite del ruolo di investigatori, analizzano indizi, formulano teorie e dibattono sui forum online.
Questo fenomeno, apparentemente innocuo, risponde a un bisogno psicologico profondo: quello di dare un senso al caos. Un crimine, specialmente se inspiegabile o brutale, rappresenta una frattura nell’ordine sociale.
Partecipare, anche solo virtualmente, alla sua risoluzione ci conferisce un senso di agenzia e controllo. Sentiamo di poter mettere i pezzi del puzzle al loro posto, e in questo modo, di ripristinare un ordine che sentiamo minacciato.
I Motori Psicologici: Controllo, Curiosità e Catarsi
Per comprendere appieno questa ossessione, dobbiamo scavare più a fondo nei meccanismi psicologici che la alimentano.
“Aumenta una dimensione di controllo da parte nostra”, spiega la dottoressa. Immergendoci nei dettagli del caso, studiando le dinamiche, identificando i presunti errori della vittima, ci illudiamo di poter imparare una lezione.
Pensiamo: “Se capisco come è successo, posso evitare che succeda a me”. È un tentativo di esorcizzare la paura della nostra stessa vulnerabilità. Conoscere il “manuale d’istruzioni” del male ci dà la falsa sicurezza di poterlo disinnescare.
La Curiosità Morbosa e lo Sguardo sul Tabù
C’è una componente innegabile di voyeurismo. Il true crime ci permette di sbirciare nell’abisso dell’animo umano da una distanza di sicurezza. Esploriamo il tabù della violenza e della morte senza correre rischi reali.
È una forma di catarsi a basso costo, che ci permette di confrontarci con le nostre paure più profonde in un ambiente controllato. Come un bambino che si copre gli occhi durante una scena spaventosa di un film ma lascia una fessura tra le dita, non possiamo fare a meno di guardare.
La Dott.ssa Ombra introduce un concetto moderno ma potentissimo: il doomscrolling. Si tratta della tendenza compulsiva a scorrere notizie negative, anche se ci causano tristezza o ansia.
Questo comportamento, apparentemente masochistico, è legato a quello che in psicologia è noto come negativity bias: il nostro cervello è evolutivamente programmato per prestare più attenzione alle minacce e alle informazioni negative, perché è fondamentale per la sopravvivenza. I media, consapevolmente o meno, sfruttano questo bias.
Il paradosso, come evidenzia la dottoressa, è che questo ciclo crea “un po’ un destino di infelicità”.
Cercando costantemente notizie negative per sentirci informati e in controllo, finiamo per costruire una visione del mondo cupa e angosciante, che a sua volta alimenta il nostro bisogno di controllo, in un circolo vizioso senza fine.
Se la fascinazione per il crime fosse solo un passatempo innocuo, non ci sarebbe motivo di preoccupazione. Ma, come avverte la Dott.ssa Ombra, questo consumo smodato ha costi reali, soprattutto per la nostra salute mentale e il nostro tessuto sociale.
Quando la Fascinazione Diventa un Circolo Vizioso
Non tutti reagiamo allo stesso modo. Le persone più vulnerabili a questo ciclo sono quelle che già lottano con ansia, depressione o tendenze ossessivo-compulsive.
Per loro, il true crime può diventare una sorta di “droga” psicologica. La ricerca di informazioni negative agisce come una distrazione dai propri problemi personali, ma allo stesso tempo alimenta lo stato d’animo negativo sottostante. “Generalmente chi ha una dimensione tendente al controllo, un tratto di personalità che tende alla tensione, all’ansia, allo stress, non fa altro che aumentare questo circolo vizioso”, afferma la Dott.ssa Ombra.
Il Mondo che si Restringe: L’Erosione del Tessuto Sociale
Un concetto particolarmente allarmante introdotto dalla dottoressa è la riduzione di quello che viene chiamato il Social Engagement System.
Questo sistema neurobiologico è responsabile della nostra capacità di sentirci sicuri, di connetterci con gli altri, di provare empatia e di comunicare in modo aperto.
Quando siamo in uno stato di ipervigilanza costante, bombardati da storie di tradimenti, violenze e pericoli, questo sistema si “spegne”.
Il mondo inizia a sembrarci un luogo intrinsecamente ostile. Il risultato è un aumento della paura, della diffidenza verso il prossimo e un progressivo ritiro sociale. La nostra capacità di relazionarci in modo sano viene compromessa, e finiamo per isolarci in una bolla di paura alimentata dai media.
L’ossessione per il crime non si limita a influenzare la nostra percezione del mondo; rischia di alterare la nostra concezione della violenza stessa.
La “Scimmia Assassina” Dentro di Noi
Viene citato un libro intitolato “La scimmia assassina”. Questo testo, spiega la Dott.ssa Ombra, riprende le teorie dell’etologo Konrad Lorenz per esplorare un concetto inquietante: la perversione e il sadismo come tratti unicamente umani.
Mentre gli animali usano l’aggressività per la sopravvivenza, l’essere umano è capace di una violenza fine a se stessa, di un piacere nel dominare e distruggere. La fascinazione per il crime, in questo senso, è anche un modo per confrontarsi con questa “scimmia assassina” che, temiamo, possa annidarsi in ognuno di noi.
Forse il punto più cruciale sollevato dalla Dott.ssa Ombra è che la violenza è un comportamento appreso. Non si nasce violenti, lo si diventa. Qui entrano in gioco i modelli educativi e le teorie dell’attaccamento, come quelle di John Bowlby.
Un bambino che cresce in un ambiente dove la violenza (fisica o psicologica) è la modalità standard di comunicazione e regolazione emotiva, imparerà che quella è la norma. Da adulto, tenderà a replicare questi schemi disfunzionali nelle proprie relazioni.
Questo processo di apprendimento è oggi amplificato dalla normalizzazione della violenza nei media. Quando la violenza diventa intrattenimento quotidiano, il confine tra giusto e sbagliato si sfuma.
La Dott.ssa Ombra porta un esempio sconcertante: il caso di alcuni ragazzi che a Rimini tentarono di dare fuoco a un senzatetto.
La reazione di alcuni adulti fu quella di minimizzare l’accaduto come una “ragazzata”. Questo dimostra come la percezione della gravità della violenza si stia erodendo, quasi come se fosse diventata un’opzione accettabile nel repertorio dei comportamenti umani.
Come possiamo, quindi, gestire questa fascinazione senza diventarne vittime? La Dott.ssa Ombra non propone una censura, ma un percorso di consapevolezza.
Siamo spesso guidati da un “pilota automatico”, reagendo d’istinto agli stimoli esterni. La chiave è riprendere il controllo.
La dottoressa suggerisce pratiche come la meditazione e la mindfulness.
“Noi viviamo come respiriamo e respiriamo come viviamo”, afferma. Concentrarsi sul respiro è un modo potente per ancorarsi al presente, calmare il sistema nervoso e osservare i nostri pensieri e le nostre emozioni senza esserne travolti.
È fondamentale imparare a ridurre l’esposizione. Questo può significare fare una vera e propria “disintossicazione digitale” o, più semplicemente, decidere consapevolmente di non cliccare sull’ennesimo articolo di cronaca nera. Bisogna chiedersi: “Tutto questo bisogno di avere informazioni è utile per il mio benessere?”.
Questo significa cercare deliberatamente contenuti positivi, passare del tempo nella natura, coltivare relazioni sane e gratificanti. Si tratta di riequilibrare la nostra “dieta” mentale, nutrendola non solo di oscurità, ma anche di luce.
La nostra attrazione per il true crime è un fenomeno complesso, un intreccio di paure ancestrali, bisogni psicologici e dinamiche culturali moderne.
È lo specchio di una società che, pur essendo più sicura che mai, si sente perennemente minacciata.
È il riflesso del nostro bisogno di controllo in un mondo che percepiamo come caotico e imprevedibile.
Come la Dott.ssa Ombra ha magistralmente illustrato, questa fascinazione non è priva di costi. Rischia di aumentare la nostra ansia, di isolarci socialmente e di normalizzare la violenza, erodendo la nostra stessa umanità.
La soluzione non sta nel negare la nostra curiosità per l’oscurità, ma nel gestirla con consapevolezza. Si tratta di passare da un consumo bulimico e passivo a una riflessione attiva, di scegliere la comprensione piuttosto che la semplice “ingordigia di informazioni”.
Imparando a riconoscere i meccanismi che ci guidano e adottando strategie per proteggere il nostro equilibrio psicologico, possiamo continuare a esplorare l’animo umano, anche nelle sue pieghe più buie, senza perdere di vista la luce della connessione, dell’empatia e del nostro benessere.
Perché, in fondo, la sfida più grande non è capire il male che c’è là fuori, ma coltivare il bene che è dentro di noi.
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