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La rubrica Focus Radio è a cura della giornalista Beatrice Silenzi – direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.
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Alla scoperta di Moflin
Moflin è un piccolo essere di peluche grande quanto un porcellino d’India, ma al suo interno ospita una complessa intelligenza artificiale emotiva.
Casio lo presenta come un compagno artificiale capace di evolvere dal giorno in cui esce dalla scatola fino a sviluppare una “personalità” unica in circa 50 giorni, grazie a milioni di possibili combinazioni comportamentali
Non è un cane né un gatto, non è neppure il Tamagotchi di fine anni ’90, ma un nuovo ibrido che solletica il nostro bisogno di compagnia e solleva interrogativi sui confini tra tecnologia e affettività.
L’idea di curare creature artificiali non è nuova: il successo planetario del Tamagotchi, un gioco portatile della Bandai, dimostrò già alla fine del secolo scorso che le persone sono disposte a investire tempo e attenzione in un “animale” digitale.
Moflin sposta l’asticella: invece di un display o di una carcassa di plastica, propone un corpo morbido che invita alle coccole che gli consente di reagire a luce, suoni e movimenti. Il progetto nasce in Giappone e, dopo la commercializzazione domestica, è stato portato negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
Utilizza una rete di sensori per percepire il mondo: microfoni per riconoscere la voce, accelerometri e giroscopi per cogliere i movimenti, sensori di luminosità e tatto per reagire alle carezze e al buio.
Il cuore di Moflin è un algoritmo di intelligenza artificiale che sviluppa un legame affettivo unico e una personalità distinta, pensato per residenti urbani con appartamenti piccoli e ritmi di vita incompatibili con la cura di un animale vero; persone allergiche ai peli degli animali o con fobie legate a cani e gatti; anziani che non possono occuparsi di un pet reale; famiglie con bambini che vogliono introdurre responsabilità e cura senza i costi e gli impegni di un animale vivo.
Nonostante i benefici, Moflin solleva numerosi interrogativi: l’entusiasmo per le emozioni simulate non deve farci dimenticare che si tratta di un algoritmo che imita la vita senza esserlo davvero.
L’uso di robot sociali può influenzare la psicologia umana e le relazioni interpersonali ed il ricorso a compagni robotici potrebbe ridurre il contatto umano.
Se il mercato si orienta verso soluzioni costose, solo alcuni potranno permettersi un compagno artificiale, accentuando il divario tra chi può accedere a tecnologie rassicuranti e chi no e la gestione dei dati resta poco trasparente.
L’uso di compagni artificiali nell’infanzia può avere esiti ambivalenti. Da un lato, la cura di Moflin può insegnare ai bambini l’importanza della pazienza e dell’empatia; dall’altro, abituarli a relazionarsi con macchine potrebbe modellare le aspettative sulle interazioni umane.
Potrebbero crescere con la convinzione che l’attenzione sia sempre ricambiata e che gli esseri “amici” non abbiano bisogni autonomi o limiti, riducendo la tolleranza verso la complessità delle relazioni reali.
Insieme ai “benefici” sbandierati dai produttori, emergono ombre distopiche: la possibilità che l’affetto venga simulato e sostituito da algoritmi, la dipendenza emotiva, la riduzione del contatto umano, la raccolta di dati sensibili, l’obsolescenza programmata e le implicazioni educative per i più giovani.
L’introduzione di AI sociali può alterare le relazioni umane e sollevare questioni di responsabilità, privacy, trasparenza e consapevolezza.
Il destino di Moflin non dipenderà soltanto dalle vendite, ma dalla nostra capacità di definire un rapporto equilibrato con macchine che simulano affetto.
Se sapremo usarle come strumenti di supporto e non come surrogati di legami reali, questi piccoli robot potranno forse contribuire al benessere senza erodere la nostra umanità.
In caso contrario, rischieremo di abitare un futuro in cui la solitudine sarà riempita da algoritmi pronti a riprodurre qualsiasi emozione, ma incapaci di provarne davvero.
Ma poi, non è più bello e utile poter vivere e essere amati da un animale vero?
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