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La rubrica Spoiler – podcast è cura della giornalista Beatrice Silenzi – direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.
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Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde incarna lo specchio oscuro dell’anima tra estetica e rovina morale
Edonismo, estetica e morale: Il ritratto di Dorian Gray indaga il conflitto tra la ricerca del piacere sensuale e i principi della moralità tradizionale.
Il romanzo del 1890, ampliato l’anno successivo è l’unico di Oscar Wilde, celebre autore irlandese dell’età vittoriana e figura di spicco del Decadentismo fin de siècle.
Come per molte altre opere, anch’essa appare inizialmente a puntate sulla rivista americana Lippincott’s Magazine. Critici e giornali definiscono l’opera “immorale”, “avvelenata” e “perversa”. La St. James’s Gazette la bolla come un contributo alla letteratura “da fogna”, mentre il Daily Chronicle parla di romanzo “velenosamente seducente” per i giovani.
Dunque uno shock che deriva dalla franchezza con cui Wilde sfida le convenzioni, poiché, pur non menzionando mai apertamente l’omosessualità, l’opera allude a piacere e immoralità, uno schiaffo al moralismo di facciata dell’epoca.
Wilde è costretto a modificare alcuni passaggi per attenuare le implicazioni giuridiche, ma, nonostante ciò, nel 1895 viene processato per atti omosessuali e l’accusa utilizza stralci del romanzo per farne un corruttore di giovani menti e, paradossalmente, questa macchia contribuisce alla notorietà del libro.
Se in patria infatti molti lo attaccano, altrove è apprezzato: tradotto in Francia e in Italia nel 1905, trova eco tra futuristi e decadentisti nostrani incuriositi ed oggi è unanimemente considerato un classico della letteratura occidentale.
Il libro narra la storia di un giovane di straordinaria bellezza, Dorian Gray, che, affascinato dai discorsi di Lord Henry Wotton, esprime il desiderio che a invecchiare e a portare i segni dei suoi peccati sia il suo ritratto, dipinto dall’amico pittore Basil Hallward.
Il suo desiderio viene esaudito e, mentre Dorian si abbandona a una vita di piaceri dissoluti e crudeltà, il suo aspetto giovane e innocente resta immutato.
È il ritratto, nascosto a mostrare i segni della sua decadenza morale, trasformandosi in un’immagine sempre più orribile. Tale doppia vita lo porta a compiere atti sempre più efferati, tra cui l’omicidio dello stesso Basil, colpevole di aver creato l’opera che è allo stesso tempo la sua salvezza e la sua condanna.
In un impeto di disperazione e disgusto per la propria anima corrotta dipinta come un riflesso sulla tela, Dorian tenta di distruggere il quadro, tuttavia, nel tentativo di pugnalare il ritratto, finisce per uccidere se stesso.
I suoi servitori lo trovano, uomo anziano e irriconoscibile, mentre il ritratto torna alla sua originaria e incontaminata bellezza.
Lo stile di Wilde è famoso, ogni scambio calibrato come un duello verbale e tale prosa dialogica, quasi teatrale, riflette la sua abilità come drammaturgo.
Come in Huxley l’umanità è annichilita dalla superficialità e dall’artificio, in Wilde l’anima del protagonista è letteralmente divorata dal ritratto “impuro” e la vicenda che eleva la bellezza e il piacere quali unici valori, diventa un topos letterario di ciò che l’essere umano potrebbe diventare nel cedere al culto narcisistico stretto fra eterna giovinezza ed egoismo.
Viviamo in una cultura che quasi nega la vecchiaia e l’imperfezione, dove la gente cerca di “fermare il tempo” con ogni mezzo e di presentare pubblicamente solo un sé ideale e ritoccato.
Wilde, con vivida immaginazione fornisce una metafora perfetta di tutto ciò: ognuno di noi ha oggi un proprio ritratto digitale che spesso non corrisponde alla verità interiore o fisica, e questa dissociazione crea ansia, alienazione e talora crolli drammatici.
La la psicologia moderna parla di “sindrome di Dorian Gray” e la lezione di Oscar Wilde sembra un ammonimento: inseguire un’eterna giovinezza è una maledizione.
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