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La rubrica L’Altra Domenica è a cura dello scrittrice e giornalista Enrica Perucchietti e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.

KRAMPUS E I CULTI PAGANI CHE SOPRAVVIVONO AL NATALE

L’atmosfera natalizia che respiriamo oggi, fatta di luci scintillanti, regali impacchettati e la rassicurante figura di un Babbo Natale vestito di rosso e bianco, è spesso il risultato di una stratificazione culturale che nasconde radici ben più antiche.
Se ci fermiamo a guardare oltre la superficie patinata imposta dal consumismo e dall’iconografia moderna – quella codificata dalla Coca-Cola che ha trasformato il vecchio Santa Claus “silvano” e verde in un beniamino commerciale – scopriamo un mondo ancestrale che pulsa ancora sotto la cenere della storia.

È un viaggio che parte dalle processioni dei Krampus e arriva fino alle sfide teologiche della Chiesa contemporanea, come emerge dalle riflessioni della giornalista e scrittrice Enrica Perucchietti.
Il risveglio dei Krampus: tra ordine e caos
Tutto ha inizio nei primi giorni di dicembre, un periodo dell’anno che anticamente segnava un momento cruciale per i cicli agricoli e naturali.
Mentre il mondo moderno attende il 25 dicembre, in molte zone del Trentino, del Friuli, dell’Austria e della Germania, si celebra un rito che sembra uscire dalle nebbie del tempo: la parata dei Krampus.

Non è una semplice sfilata folcloristica, ma la rievocazione di una paura atavica

Queste figure demoniache, cornute, con pupille bianche e zoccoli, armate di fascine e bastoni, irrompono nelle strade (e un tempo nelle case) scatenando il panico. Rappresentano le forze infere, il caos, la natura selvaggia e indomita che minaccia l’uomo nel periodo più buio dell’anno.
La loro furia non è fine a se stessa: essi accompagnano San Nicola, la figura che incarna la luce, l’ordine e la santità.

La dinamica è precisa: i demoni spaventano e “puniscono”, ma è l’arrivo del Santo a scacciare le tenebre, riportando la luce e l’ordine nella comunità.
È una rappresentazione drammatica del dualismo eterno tra bene e male, luce e ombra, che anticamente trovava il suo apice non solo il 5 dicembre, ma anche il 13, giorno di Santa Lucia, che prima della riforma del calendario gregoriano coincideva con il solstizio d’inverno.

Se grattiamo via la vernice cristiana da figure come i Krampus, ci troviamo di fronte a quello che gli antropologi, da James Frazer a Mircea Eliade, fino alla controversa Margaret Murray, hanno identificato come il culto del “Dio Cornuto”. Non si tratta del Diavolo della teologia cristiana, ma di una divinità della natura, legata ai boschi, alle greggi e alla fertilità, venerata insieme a una controparte femminile lunare.
Come sottolinea Enrica Perucchietti, autrice del saggio Il Dio Cornuto, queste tradizioni non sono scomparse con l’avvento del Cristianesimo.
Al contrario, sono sopravvissute per millenni, specialmente nelle aree rurali e contadine, ma talvolta anche all’interno dell’aristocrazia e del clero stesso.

La Chiesa, incapace di estirpare completamente questi radicati culti pagani, ha optato per una strategia di assimilazione e trasformazione.
Le antiche divinità non sono state cancellate, ma “riverniciate”: le divinità intermedie sono divenute Santi, le feste pagane sono state sovrapposte a quelle liturgiche (i Lupercalia romani, ad esempio, o la festa di Fauno dell’8 dicembre, oggi Immacolata Concezione), e il Dio Cornuto è stato trasformato nell’iconografia classica del Diavolo.

È fondamentale comprendere che l’associazione tra le corna e il male assoluto è un’invenzione teologica successiva.
Nei culti pre-cristiani, il corno era simbolo di potenza, fertilità e abbondanza (si pensi al Fauno o a Pan).
L’operazione culturale della Chiesa è stata quella di demonizzare l’antico rivale spirituale, trasformando il dio della fertilità in Satana.
Tracce di quel passato sopravvivono in modo indelebile, come dimostra la Corrida, che affonda le sue radici negli stessi culti sacrificali e di fertilità.

L’equivoco del Satanismo e la banalizzazione moderna

Oggi, nell’era di internet e della polarizzazione, si assiste spesso a una pericolosa banalizzazione di questi temi. La riscoperta di simboli antichi viene frequentemente etichettata sbrigativamente come “satanismo” da chi ignora la storia delle religioni. È un errore di prospettiva: quando questi culti erano vivi e praticati, la figura del Diavolo come antagonista biblico non era ancora stata codificata in quel modo.
Certo, come ricorda la Perucchietti, non bisogna cadere nell’errore opposto di idealizzare eccessivamente il paganesimo: si trattava spesso di culti cruenti, legati al sacrificio di sangue, necessari per propiziare la terra in un mondo dove la sopravvivenza dipendeva dai capricci della natura.

Tuttavia, etichettare tutto ciò che è cornuto o oscuro come “satanico” è una semplificazione che ci impedisce di comprendere la complessità della nostra storia culturale.
È necessario distinguere tra l’adorazione del male in senso teologico e la venerazione delle forze naturali, per quanto potenti e talvolta spaventose esse fossero.

La Chiesa di fronte alla modernità: un’apertura rischiosa?
Il dialogo sulle tradizioni ci porta inevitabilmente a riflettere sullo stato attuale della Chiesa Cattolica, custode e al contempo censore di queste antiche memorie.
In tempi recenti, specialmente durante il pontificato di Papa Francesco, si è assistito a un tentativo di “restyling” dell’istituzione, un’apertura verso la modernità che cerca di rendere la Chiesa più accogliente e, in un certo senso, “simpatica” anche ai non credenti.

Questa strategia, che sembra ricalcare passi già compiuti dalle chiese protestanti nel tentativo di arginare la crisi di vocazioni e fedeli, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio.
Secondo l’analisi emersa, inseguire il mito del progresso e diluire il messaggio dottrinale per compiacere il mondo secolare rischia di portare a un “depauperamento teologico”.
La Chiesa si trova in una posizione delicata: da un lato deve vivere nel presente e non può ignorare i cambiamenti sociali; dall’altro, la sua forza millenaria risiede proprio nella conservazione di un mistero e di una tradizione che non dovrebbero piegarsi alle mode del momento.

Il rischio è quello di creare confusione: aprendosi troppo, si potrebbe finire per allontanare lo “zoccolo duro” dei fedeli tradizionalisti senza peraltro convertire realmente i modernisti.
La liturgia e la teologia, svuotate della loro sacralità rigorosa per diventare più accessibili, potrebbero perdere quella funzione trascendente che per secoli ha costituito il baluardo contro il caos, proprio come San Nicola che tiene a bada i Krampus.

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