;

Clicca per guardare il video

La rubrica Spoiler – podcast è cura della giornalista Beatrice Silenzi – direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.

Segui tutti gli appuntamenti di Spoiler sul nostro sito.

DE BREVITATE VITAE DI SENECA

La vita è lunga abbastanza e ci è stata data ampiamente per la realizzazione delle più grandi imprese, se impiegata tutta con diligenza; ma quando essa trascorre nello spreco e nell’indifferenza, quando non viene spesa per nulla di buono, spinti alla fine dall’estrema necessità, ci accorgiamo che essa è passata e non ci siamo accorti del suo trascorrere.

Sulla brevità della vita De brevitate vitae è l’opera composta intorno al 49 dC, da Lucio Anneo Seneca, politico, drammaturgo, filosofo tra i massimi esponenti dello stoicismo di età imperiale, al termine di un lungo esilio in Corsica e poco prima di tornare sulla scena pubblica come tutore dell’erede al trono Nerone.
L’opera in latino, fa parte della raccolta dei “Dialoghi”, in cui non vi è traccia di contraddittorio, in cui Seneca è l’unico a parlare, in cui immagina e immediatamente confuta in un monologo argomentativo rivolto a un destinatario specifico, Pompeo Paolino, cavaliere romano e prefetto dell’annona, nonché padre della seconda moglie di Seneca stesso.

La tesi di fondo è chiara sin dall’incipit: la vita umana non è in sé troppo breve; è piuttosto l’uomo, con le sue dissipazioni e affanni inutili, a renderla tale dilapidando il tempo a disposizione.
“Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perduto molto”, afferma Seneca: “nulla è più raro del saper vivere” motto dedicato a chi spreca il proprio tempo affollandolo di occupazioni, costituisce il fulcro di un’opera in cui filosofia, critica dei costumi e introspezione si fondono con straordinaria efficacia.

Il tema centrale è dunque il valore del tempo e l’illusorietà de “la vita è troppo breve”, frase che Seneca contesta apertamente, sostenendo che a rendere breve l’esistenza non è la natura ma l’uso scriteriato del tempo da parte degli uomini. Egli paragona il tempo a una risorsa: un patrimonio che dovrebbe essere amministrato con cura come il denaro, e non sperperato.
Non a caso abbondano nell’opera metafore e termini di linguaggio finanziario (investire, spendere, perdere, dissipare) per sottolineare che il tempo è ricchezza e deve essere gestito in modo saggio.

Il filosofo invita quindi a una sorta di austerità esistenziale: bisogna essere avari solo di tempo, perché esso è l’unico bene che – una volta consumato – nessuno potrà restituire.
Una visione, profondamente spirituale che implica come la lunghezza della vita si debba misurare in qualità più che in quantità: “La vita è sufficientemente lunga purché si sappia spenderla bene dall’inizio alla fine”, scrive Seneca, “la vita è lunga, se sai come usarla”, principio affine a concetti sviluppati secoli prima da filosofi come Aristotele ed Epicuro.

Seneca designa col termine “affaccendati” coloro che, perennemente impegnati in attività importanti.
Tre esempi illustri campeggiano: Augusto, il primo imperatore, Cicerone, il grande oratore repubblicano, Marco Livio Druso (il Giovane), tribuno della plebe nel 91 a.C., citato come caso di vita consumata precocemente dall’ambizione.
Ebbene nulla è più misero della condizione di chi non lavora per sé ma solo per gli altri: “dormono secondo il sonno altrui, camminano al passo altrui, persino amare e odiare sono comandati da altri”.

Dalla diagnosi dei mali emerge in controluce il rimedio che Seneca propone: valorizzare ogni momento presente come unico veramente nostro. “Vivi senza indugio”, anzi “vivi adesso!”, ricordando molto da vicino il celebre carpe diem di Orazio.
“Quando avrò tempo mi dedicherò a ciò che amo…” è una frase utilizzata spesso da coloro che rimandano i propri propositi a tempi migliori e come se fossero padroni di un futuro garantito, salvo poi scoprire di aver consumato la vita nei preparativi e nelle attese.

Seneca immagina che studiando i grandi autori del passato, essi siano per il lettore, sempre disponibili al dialogo, amici di chi li sa cogliere e ritrovare, in un tributo all’immortalità della cultura.
Egli vuole essere capito da un pubblico vasto: il messaggio “non sprecare la tua vita” può (e deve) essere ascoltato da chiunque, ricco o povero, potente o umile.

È difficile ricostruire l’impatto immediato di De brevitate vitae all’epoca della sua pubblicazione tuttavia, l’opera rientra in un filone di letteratura morale che ebbe vasta eco nel mondo romano e poi cristiano.  Arrivando all’epoca moderna e contemporanea, è interessante notare come ogni volta che la società si interroghi sul rapporto tra quantità e qualità della vita, l’eco di Seneca sia presente, con la sua proposta di un ritorno a sé stessi tramite la cultura e nel leggere quelle parole, riflettendo sulle tesi del filosofo, non ci si può non interrogare su cosa dà valore alla nostra vita, cosa significa davvero “vivere bene”, quale rapporto c’è tra virtù, felicità e tempo.

E ognuno di noi,in una riflessione autonoma, è chiamato a dare la propria risposta. Una sfida intellettuale e morale che De brevitate vitae lancia: breve nella forma, infinita nella sostanza.

Il video pubblicato è di proprietà di (o concesso da terzi in uso a) FABBRICA DELLA COMUNICAZIONE.
E’ vietato scaricare, modificare e ridistribuire il video se non PREVIA autorizzazione scritta e richiesta a info@fcom.it.