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Su Fabbrica della Comunicazione, la rubrica Habemus Papam, il mercoledì, è a cura del giornalista e scrittore Massimo – Max – Del Papa che commenta con Beatrice Silenzi – i fatti del momento.

In un panorama mediatico spesso dominato da formalismi e da un linguaggio politicamente corretto, esistono ancora spazi di discussione dove l’analisi si mescola alla satira più feroce e il commento non teme di essere provocatorio.

Dalla percezione del degrado di Milano alla farsa politica del “quasi vinto” post-referendum, passando per l’allarme sulla violenza giovanile e un’irresistibile parodia del mondo del calcio intrecciato con quello della politica.

“Milano peggiora di mese in mese. È una cosa terribile. C’è un degrado… Non c’è più nessun tipo di amor proprio. Vai in un bar qualunque, cioè, ti servono delle cose che anche nella provincia dove siamo noi qua si vergognerebbero solo a… prendi uno spritz, ti danno un bicchiere di ghiaccio, senza niente. Non ti portano una cosa, non sono capaci neanche a servire. Ma un degrado…”

Questa critica non si limita alla qualità del servizio, ma si estende a una percezione più profonda di disfacimento sociale e culturale. Del Papa descrive una città che ha perso la sua identità, un luogo dove, secondo la sua provocatoria iperbole, si incontra “un italiano su mille”. 

È qui che emerge uno dei concetti più potenti della conversazione: la sindrome del “quasi vinto”. Del Papa prende di mira quella parte politica che, pur uscendo palesemente sconfitta dalle urne a causa del mancato raggiungimento del quorum, ha tentato di narrare il risultato come un successo parziale, un’affermazione di principio.

“Abbiamo quasi vinto. È come nelle elezioni politiche, no? Ho sentito la stessa cosa quando Sinner ha perso. Che però il commentatore dice: ‘Però Sinner ha anche vinto’. Sì, però ha perso.”

Questa analogia tennistica è il cuore della sua critica a un’intera classe dirigente incapace di fare i conti con la realtà e di accettare la sconfitta. La satira di Del Papa non è fine a se stessa. È uno strumento di decostruzione.
La gente, secondo questa lettura, ha “dato una salvata”, si è difesa dall’ennesima “balordaggine autoritaria” di chi pretendeva di trasformare un diritto in un dovere, per di più orientato.

Le conseguenze psicologiche dei lockdown: “Mi chiudi dentro, mi fai impazzire”. Anni di isolamento forzato avrebbero lasciato cicatrici profonde sulla psiche dei più giovani.
La mancanza di modelli positivi: I giovani sono bombardati da esempi negativi provenienti dal mondo della politica, dei media e dello spettacolo.

L’impatto della tecnologia: “C’è la tecnologia che li rende impazziti, pazzi”. Il mondo virtuale, i social network e i videogiochi contribuiscono a creare una realtà distorta e a desensibilizzare rispetto alla violenza.
Il crollo dei riferimenti: La crisi della famiglia, della scuola e delle altre agenzie educative ha lasciato i giovani senza guide e senza un sistema di valori solido a cui ancorarsi.

La sua visione è radicale: la società starebbe somministrando ai giovani un cocktail letale. Da un lato, li rinchiude e li isola; dall’altro, li espone a “cose chimiche, farmaceutiche che li fanno impazzire” (un riferimento forse sia a sostanze che a stimoli psicologici) e li priva di esempi costruttivi. Il risultato è una generazione “stonata”, disorientata e incline alla violenza, che agisce in un contesto dove i modelli di riferimento sono “quelli che sono”.

La parte più esplosiva e stilisticamente unica della conversazione è senza dubbio la lunga digressione in cui Massimo Del Papa fonde la critica politica con la satira sportiva. Utilizzando il calcio come metafora, mette in scena un’irresistibile parodia dei vizi e delle ipocrisie del potere italiano. È un vero e proprio “one-man show” in cui imita allenatori, presidenti federali e commentatori, creando un cortocircuito surreale tra il fallimento della Nazionale di calcio e quello della politica.

Questo monologo, recitato con un’inflessione da “mister” consumato, è una critica feroce all’incapacità italiana di assumersi la responsabilità dei propri fallimenti.
La colpa è sempre di qualcun altro, le sconfitte vengono mascherate e chi sbaglia, spesso, non solo non paga, ma resta al suo posto. La sua satira colpisce politici di ogni schieramento: Tajani, Schlein (che definisce “la Lella”), Conte, Bonelli (“uno che candida la Salis”), Fratoianni.

Anche in questo caso, la lettura di Del Papa è cinica e disincantata. Egli vede nella professoressa non tanto una vittima di un sistema bacchettone, quanto una persona abile a sfruttare mediaticamente la propria situazione, lamentandosi costantemente per rimanere al centro dell’attenzione.

La sua critica è impietosa e si conclude con una profezia: questa costante esposizione mediatica è il preludio a una carriera politica. “Questa è un’altra che si candida”, afferma con certezza, paragonandola ad altri personaggi emersi dalla cronaca o dal web e poi approdati nell’agone politico.
È l’ennesima stoccata a un sistema che, a suo avviso, premia l’esibizionismo e la polemica piuttosto che la competenza e la serietà.

La Milano in declino diventa metafora di una perdita di identità nazionale. Il referendum fallito è il simbolo di una democrazia malata e di una classe politica sorda.
La violenza giovanile è la spia di un fallimento educativo e generazionale. E la farsa politico-calcistica è la rappresentazione grottesca di un sistema di potere che ha perso ogni credibilità.

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