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Su Fabbrica della Comunicazione la rubrica Focus Radio è cura della Redazione di Fabbrica della Comunicazione e realizzata a cura di Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile.

Stoccolma, in questi giorni non è stata più la città che il mondo conosce: il profilo elegante dei suoi palazzi, solitamente specchiato nelle acque placide dell’arcipelago, si è oscurato da una presenza estranea, quasi marziale.

Si è conclusa domenica scorsa, il 15 giugno, l’edizione numero 71 della conferenza Bilderberg. E anche quest’anno tutto si è svolto nel più stretto riserbo e al riparo da qualsiasi copertura mediatica, in un hotel svedese, di Stoccolma, totalmente blindato, al riparo da occhi indiscreti.

Un perimetro di transenne metalliche, lucide sotto un cielo nordico incerto, ha delimitato una zona d’eccezione.
Furgoni blindati della polizia hanno stazionato ad ogni angolo, come sentinelle di un confine invalicabile.
Agenti armati, hanno sorvegliato ogni accesso al Grand Hotel, trasformato per l’occasione in una fortezza inespugnabile.
È un apparato di sicurezza da scenario da crisi internazionale. Una “zona rossa” nel cuore di una tra le capitali più ordinate d’Europa.

Il motivo del dispiegamento non era una minaccia terroristica conclamata né la visita di un capo di Stato, ma qualcosa di più elusivo e, per molti, più inquietante: la Conferenza del Club Bilderberg.
Al riparo da qualsiasi forma di scrutinio pubblico, lontano dagli obiettivi delle telecamere e, soprattutto, dai microfoni dei giornalisti non allineati, si è riunito per quattro giorni il cosiddetto consiglio d’amministrazione non ufficiale dell’Occidente.

Un consesso che aggrega le figure apicali della NATO, i gangli vitali della Commissione Europea, ministri di governi sovrani, architetti della finanza globale, vertici dei servizi segreti e amministratori delegati delle corporazioni tecnologiche e industriali che plasmano la nostra esistenza quotidiana.

L’evento, fin dagli esordi sembra essere un paradosso vivente: per la portata dei suoi partecipanti e la rilevanza dei temi trattati, avrebbe potuto rappresentare un appuntamento mediatico di primissimo piano, capace di catalizzare l’attenzione globale. E invece, il silenzio.
Un silenzio assordante.
Senza schiere di inviati speciali accalcati fuori, come capita al G7 o a Davos, nessuna diretta televisiva, nessuna conferenza stampa, nessuna domanda incalzante.
Solo il vuoto. Interrotto a malapena dalla presenza di qualche cronista indipendente trattato con sospetto,e da sparuti curiosi, respinti con fermezza dal cordone di sicurezza.

La copertura mediatica internazionale è consapevole di questa anomalia: un unico, scarno dispaccio dell’agenzia Reuters, ripreso senza commento da alcune testate, ha tentato di normalizzare l’evento attraverso un articolo che ha descritto il Bilderberg come una “semplice piattaforma di dialogo informale euro-atlantica”, quasi un club di gentiluomini riuniti per una conversazione accademica.
La segretezza, assicuravano gli organizzatori, era una necessità funzionale per garantire ai partecipanti un “clima di fiducia” in cui esprimersi in totale libertà, senza il peso della rappresentanza ufficiale.

Tale narrazione minimalista, quasi lenitiva, però, anche quest’anno si è scontrata fortemente con la realtà percepita anche a causa di quell’imponente militarizzazione del centro della città di Stoccolma.
Il velo di segretezza assoluta che ha ammantato discussioni e l’impossibilità materiale per la stampa non accreditata di ottenere resoconti, anche sommari, hanno dipinto un quadro radicalmente diverso. Non era un dibattito informale, ma un vertice strategico di un potere che non ha mai avuto bisogno di alcuna legittimazione democratica.

Per comprendere, tuttavia, la natura del Club è necessario compiere un passo indietro. Fondato nel 1954 presso l’Hotel de Bilderberg a Oosterbeek, nei Paesi Bassi – da cui il nome del consesso – il Gruppo è sorto per volontà di figure come il principe Bernardo d’Olanda e l’influente faccendiere polacco Józef Retinger.
L’obiettivo dichiarato era nobile: creare una camera di compensazione per le élite europee e nordamericane al fine di rinsaldare il fronte atlantico contro la minaccia del comunismo sovietico.
Una specie di “NATO economica e culturale” per prevenire un’altra guerra mondiale e favorire la cooperazione.

Eppure, fin dall’inizio, la struttura del Gruppo tradiva un’ambizione più profonda, “una congrega dei più ricchi, dei più economicamente e politicamente potenti e influenti uomini nel mondo occidentale, che si incontrano segretamente per pianificare eventi che poi sembrano accadere per caso” come scriveva il Times londinese quasi cinquant’anni fa.
Oggi questa definizione è ancora molto pertinente.

Nonostante nei decenni molti accadimenti si siano susseguiti in Europa, il Club non ha perso la sua ragion d’essere, anzi l’ha ridefinita e da bastione contro il comunismo si è trasformato nel laboratorio della globalizzazione e del neoliberismo.
La sua dottrina si attua attraverso la costruzione progressiva di una sovranità economica e finanziaria globale, svincolata e superiore a quella politica dei singoli Stati.
Un potere dunque che non si avvale di parlamenti, rendendoli irrilevanti e che detta un’Agenda globale che i governi nazionali, indeboliti e interdipendenti, non possono fare altro che recepire e implementare.

Il sito ufficiale del Bilderberg 2025 ha concesso al pubblico una lista di argomenti, in un gesto di trasparenza apparente che ha sollevato più domande rispetto alle risposte offerte.
Tra i temi c’erano la guerra in Ucraina, la sicurezza nazionale, l’intelligenza artificiale, lo stato dell’economia statunitense, il futuro dell’industria della difesa, la corsa ai minerali strategici e, significativamente, il tema del depopolamento.

Ogni punto, in un sistema davvero democratico ed aperto al pensiero critico, avrebbe meritato un dibattito pubblico, trasparente e approfondito nelle sedi istituzionali designate ed invece, sono stati discussi nei saloni di un hotel di lusso ed in conversazioni protette, secondo cui i partecipanti erano liberi di utilizzare le informazioni ricevute, ma non di rivelare identità o affiliazione del fornitore.

Forse dietro la dicitura guerra in Ucraina, si è discusso del sostegno a Kiev e delle strategie di ricostruzione post-bellica, un business miliardario in cui le multinazionali presenti hanno un interesse diretto.
Sull’intelligenza artificiale, la presenza del CEO di Microsoft si sarà probabilmente sviluppato un dibattito su chi dovrà scrivere le regole della tecnologia. Cosa significhi poi discutere di depopolamento non è chiaro in un consesso simile, poiché il termine è ambiguo e apre a molti scenari.

Sicuramente ci sarà stato spazio per le crescenti tensioni in Medio Oriente, per l’escalation tra Israele e Iran: tutte questioni che hanno a tutt’oggi un impatto diretto sulla vita di milioni di persone, la stabilità geopolitica ed i mercati energetici.

Ed ora veniamo alla lista dei partecipanti, un vero e proprio catalogo del potere contemporaneo.
L’ospite d’onore di quest’anno è stato Mark Rutte, primo ministro olandese uscente e designato Segretario Generale della NATO.
Reduce da un tour nelle capitali europee, incarna l’anello di congiunzione tra Bilderberg e Alleanza Atlantica.
Il Bilderberg annovera tra i suoi fondatori membri dell’MI6, della CIA e un ex capo della NATO, Lord Carrington. 

Poi Christopher Donahue, Comandante dell’esercito statunitense per l’Europa e l’Africa. Impressionante anche la delegazione dell’Unione Europea, segnale di come Bruxelles sia pienamente integrata. Anche nella rappresentanza italiana si ritrovano figure storiche del club: Mario Monti, Enrico Letta, ma la loro presenza non sorprende: sono garanti di una continuità di visione.

Anche il viceministro alle Imprese e al Made in Italy, Valentino Valentini è un fatto di portata simbolica: si trovava a Stoccolma per difendere gli interessi italiani, o per recepire gli interessi del Bilderberg? 
Poi c’è il giornalista Stefano Feltri, invitato al consesso esclusivo e segreto per osservare e riferire, diventando parte di quell’élite che forse, per mestiere, dovrebbe invece sorvegliare.

Qual è il problema?

Non nell’incontro delle élite, poiché queste lo hanno sempre fatto e lo faranno sempre. Semmai sta nella totale assenza di trasparenza di un potere-ombra in cui si prendono decisioni strategiche che influenzeranno leggi, economia e società dei prossimi anni.

Il Club Bilderberg rappresenta l’incarnazione di un potere, che prospera nel segreto e si nutre del silenzio complice dei media mainstream ed il complotto è la cospirazione del silenzio che circonda l’evento. 
L’immagine finale è quella di un circo itinerante del potere, un circo che si sposta di anno in anno, cambiando qualche interprete ma mantenendo intatto il copione. Il pubblico pagante applaude convinto e sorridente, mentre distratto osserva uno spettacolo in cui c’è poco da ridere.
E la democrazia, ancora una volta, resta fuori dal tendone, a guardare le luci da lontano, senza biglietto d’ingresso.

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