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Su Fabbrica della Comunicazione la rubrica Focus Radio è cura della Redazione di Fabbrica della Comunicazione e realizzata a cura di Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile.

Quindi è deciso. L’ombra del Leviatano digitale annuncia una nuova sfida: la fine conclamata della Carta d’Identità.
La morte del documento cartaceo, in questo caso non segna solo la tanto sbandierata celebrazione di un nuovo passaggio verso la comodità. No…
Lascia intravedere in lontananza tratti sfocati di un controllo dai contorni negativi che i più non distinguono ancora.

Il necrologio che stiamo leggendo in questo periodo, scritto con l’inchiostro freddo ed impersonale dei regolamenti europei, non pare interessare a molti. Come sempre è buttato lì, al margine, sui siti all news: un trafiletto che parla di decisioni già prese a cui adeguarsi. Lentamente si farà strada, seguendo gli standard dell’Unione Europea.

Il 3 agosto 2026, la carta d’identità cartacea finirà nel bidone dell’immondizia, per essere sostiuita dall’ennesima tessera, di pari foggia e dimesione delle altre che risiedono da tempo nel portafogli.
Daremo l’addio definitivo a quel pieghevole, spesso sgualcito che ha accompagnato generazioni di italiani.
La carta d’identità cartacea cesserà di essere valida per l’espatrio.

La pietra tombale che chiude un’era, al contempo, diventa la prima, fondamentale pietra posata alla base di un edificio che da tempo ridefinisce il concetto stesso di cittadinanza: il grande Panopticon digitale.

Quello a cui stiamo assistendo infatti non è un semplice aggiornamento tecnologico, ma il culmine di una strategia pianificata, un’accelerazione deliberata verso un paradigma in cui, ogni aspetto della nostra esistenza – identità, salute, finanze, movimento – viene centralizzato, digitalizzato e, di conseguenza reso condizionale.

È una delle tante variabili che trasforma il cittadino in utente, da individuo a nodo di una rete, la cui connessione può essere rallentata, limitata o interrotta da un semplice click di un’Autorità centrale.
Il pretesto, ormai abusato, è sempre quello della sicurezza e della digitalizzazione forzata: proposte da una narrazione, come sempre, rassicurante.

Ma è tutto così giusto e perfetto?
Ovviamente no.

▪️ Il primo motivo – che riguarda il documento stesso – è esplicitato nel Regolamento Europeo 1157 del 2019 che impone standard di sicurezza sempre più elevati: si sostiene che la vecchia carta sia vulnerabile, priva di una zona a lettura ottica della “Machine Readable Zone” (Zona leggibile dalla Macchina), motivo per cui non può garantire norme minime di sicurezza, di cui alla parte 2 del documento ICAO 9303.
La Carta d’Identità Elettronica (CIE), con microchip e credenziali offre invece la soluzione, vantando sicurezza, efficienza, progresso.

▪️ Un aspetto che desta preoccupazione si attua già nel momento in cui si fa richiesta del documento: la prenotazione online è uno scoglio per molti. L’accesso a un servizio pubblico essenziale, come l’identificazione, diventa spesso un percorso a ostacoli, subordinato al possesso di strumenti e competenze che lo Stato non si preoccupa di fornire universalmente.

▪️ Altro punto: la fototessera deve essere conforme a rigidi parametri biometrici ed inoltre vi è polemica sull’acquisizione obbligatoria delle impronte digitali, non giustificata da esigenze di identificazione.

Anche in questo caso si torna a parlare di sicurezza, anche se il Garante, espressosi al riguardo ha definito la rilevazione delle impronte digitali come “un sacrificio sproporzionato della sfera della libertà di tutte le persone che possono legittimamente lamentare anche una considerazione non adeguata e un rilevante pregiudizio della propria dignità personale”.

Dato l’obiettivo di voler contrastare il rischio di sostituzione di persona e il furto d’identità, non si può tuttavia normalizzare una pratica di sorveglianza di massa, ftrasformandola in una banale procedura amministrativa. Le impronte digitali, uniche e immutabili potrebbero essere incrociate, analizzate e utilizzate in futuro per scopi che oggi possiamo solo immaginare.

▪️ Infine vi è un motivo economico perché questi documenti sono tutt’altro che gratuiti. Una recente analisi di Assoutenti ha svelato un’altra verità scomoda: in Italia, essere cittadini costa di più che in altri Paesi dell’UE.

Esercitare diritti fondamentali (identificarsi, viaggiare, guidare) determina un onere significativo che crea una barriera: una forma di discriminazione basata sul censo. Si paga per essere riconosciuti dallo Stato.
Non solo. Ai costi esorbitanti non corrisponde un servizio migliore: gli italiani sono afflitti da attese bibliche, burocrazia bizantina e sistemi che frequentemente complicano invece di semplificare.

La vicenda analoga a quella della Carta d’Identità, è quella riguardante lo SPID (acronimo di Sistema Pubblico di Identità Digitale) che rappresenta l’emblema perfetto di come il Potere manipoli opinione pubblica e mercato per raggiungere i propri scopi.

Inizialmente facoltativo, lo SPID è stato reso progressivamente indispensabile per qualsiasi interazione con la Pubblica Amministrazione: accedere al sito dell’INPS, pagare una multa o riscuotere un credito da un Ente pubblico, iscrivere un figlio a scuola: tutto passa obbligatoriamente da lì.
Il cittadino è dipendente da questo strumento.

Creato il bisogno nella massa, lo Stato affida la gestione del servizio a aziende private, promuovendolo come “gratuito” per l’individuo: l’onere economico ricade sui provider, a cui vengono promessi rimborsi e convenzioni.

Lo Stato, però, come da copione, non onora gli impegni economici ed i provider, dopo aver operato in perdita, annunciano che dal mese di luglio 2025 il servizio diventerà a pagamento per l’utente finale. Si genera così malcontento e confusione, mentre lo SPID diventa fallimentare e inaffidabile.

Nel momento di massima crisi, ecco che il Governo scopre le sue carte: il sottosegretario all’Innovazione Tecnologica e il Ministro per la Pubblica Amministrazione in particolare spingono per spegnere progressivamente lo SPID, puntando direttamente sulla CIE e, in prospettiva futura, sull’Identità Digitale Europea (EUDI).

Uno schema perfetto.

Si è usato un sistema (lo SPID) per abituare la popolazione all’identità digitale, per poi orchestrarne la caduta e presentare la successiva soluzione come l’unica alternativa logica e sicura, ancor più centralizzata e controllata.
I cittadini, frustrati dagli elevati costi e dai molti disservizi accoglieranno la CIE prima e l’EUDI poi,come una liberazione, senza rendersi conto di essere rimasti incastrati nella ragnatela del Potere. 

Eppure, chi pensa che questa sia una deriva unicamente contemporanea, ignora certe modalità proprie del passato. La brama del Potere di censire, catalogare e controllare i propri sudditi è antica.
Il censimento romano era lo strumento fondamentale per la tassazione, la leva militare e il controllo sociale.

Saltando in avanti di duemila anni, durante il secolo scorso, passaporti e carte d’identità si diffusero in Europa durante la Prima Guerra Mondiale, come strumenti per controllare i movimenti, identificare i nemici e gestire le popolazioni in un’epoca di paranoia nazionalista. 

Ma l’esempio storico più oscuro è un altro. Edwin Black, nel suo libro-inchiesta “IBM and the Holocaust”, ha documentato come la tecnologia delle schede perforate della IBM, sviluppata per l’efficiente elaborazione dei dati dei censimenti, fu utilizzata dal regime nazista per identificare, catalogare, ghettizzare e, infine, sterminare milioni di ebrei e altre minoranze e la centralizzazione dei dati è il prerequisito di ogni totalitarismo.

Eppure oggi, la quantità di dati che stiamo consegnando volontariamente a un’entità centrale è infinitamente superiore. E la storia ci insegna che qualsiasi sistema di controllo creato, prima o poi, verrà usato per il suo pieno potenziale. 

La digitalizzazione non proposta, ma imposta, non è un’opzione, ma un obbligo mascherato da adeguamento normativo. Un processo che ignora deliberatamente una fetta enorme della popolazione: anziani, persone con scarse competenze informatiche o difficoltà di apprendimento, cittadini residenti in aree con connettività precaria, meno abbienti che non possono permettersi smartphone e computer di ultima generazione e persone che semplicemente non vogliono adeguarsi, ma pretendono di esercitare i loro diritti, senza danneggiare la libertà altrui.
Per costoro, la “semplificazione” digitale si traduce in esclusione, in una nuova forma di analfabetismo funzionale che li relega ai margini della società civile. 

Per tutti gli altri è tempo di smettere di guardare al dito e iniziare a fissare la luna, osservando la struttura di Potere che la nuova architettura digitale sta costruendo intorno a noi.

È tempo di analizzare e metabolizzare. È tempo di capire e poi, pensare criticamante e in maniera nuova.

Focus Radio. L’essenziale, in profondità.

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