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Su Fabbrica della Comunicazione, Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile – si occupa della rubrica, “Comunicazione e Dipendenze”, in collaborazione con Studi & Salute Bolgan.

Ospite di questo appuntamento è la life coach Alessandra Vecchi, arte-terapeuta.

Le emozioni costituiscono il nucleo pulsante dell’esperienza umana.
Ogni giorno, ogni istante, esse attraversano il nostro corpo e la nostra mente, influenzando pensieri, azioni, relazioni.
Comprenderle e accoglierle è uno dei compiti più complessi e allo stesso tempo più fondamentali della nostra esistenza.
È da questa consapevolezza che prende forma il contributo di Alessandra Vecchi, arte terapeuta e coach, il cui approccio integrato all’esplorazione del mondo interiore si fonda sull’arte come mezzo di accesso alle proprie verità emotive.

L’arte terapia: una via simbolica verso il sé

L’arte terapia rappresenta una forma di cura che utilizza i linguaggi artistici come strumento di espressione e trasformazione.
Disegno, teatro, danza, musica: sono queste le chiavi per accedere a quell’archivio interno di emozioni che spesso restano bloccate, non dette, non elaborate.

Contrariamente a quanto si possa pensare, l’arte terapia non è destinata solo ai bambini. Anche e soprattutto gli adulti necessitano di linguaggi alternativi a quello verbale, spesso sovraccarico, abusato, incapace di rendere la complessità di ciò che si prova.
Le immagini, i simboli, i gesti, offrono la possibilità di sostare nel proprio sentire, di accogliere le fragilità, trasformandole in punti di forza, in vere e proprie “delicatezze”, come le definisce Vecchi.

Le emozioni non sono semplici stati d’animo passeggeri. Sono indicatori fondamentali della nostra esperienza soggettiva.
Attraverso di esse entriamo in contatto con i nostri bisogni, i nostri valori, il nostro passato.
La capacità di riconoscerle e gestirle incide profondamente sulla qualità della nostra vita e sulla nostra capacità di entrare in relazione con gli altri.

Una persona che non è in contatto con se stessa, che non sa leggere le proprie emozioni, difficilmente riuscirà a comprendere davvero quelle altrui.
Il rischio è quello di vivere relazioni distorte, dominate da proiezioni, fraintendimenti, e da una confusione tra ciò che è proprio e ciò che appartiene all’altro. Stabilire un confine emotivo chiaro è il primo passo per creare relazioni autentiche e sane.

La relazione con se stessi come primo pilastro

Prima di cercare di capire gli altri, è indispensabile aver compreso se stessi. E questo passaggio, tanto semplice in teoria quanto arduo nella pratica, implica uno sguardo sincero e non giudicante su chi siamo.
Le nostre emozioni sono lo specchio della nostra storia, dei nostri vissuti, delle nostre dinamiche familiari e relazionali.

Crescere in contesti dove il dialogo e l’espressione emotiva erano assenti, per esempio, può generare adulti incapaci di entrare in contatto profondo con se stessi.
Il silenzio, l’inibizione, la paura del confronto diventano ostacoli alla piena realizzazione personale.
Per questo motivo, le emozioni non vanno semplicemente sentite: vanno ascoltate, interrogate, comprese.

Le emozioni parlano attraverso il corpo. L’ansia, per esempio, si manifesta con tachicardia, pallore, sudorazione. Questi segnali fisici rappresentano una mappa preziosa per chi sa interpretarla.
Il corpo diventa così un alleato nella comprensione del nostro mondo interno, un messaggero da non ignorare.

Le emozioni, anche quelle che definiamo negative come la rabbia o il senso di colpa, non sono errori di sistema: sono informazioni.
Ci parlano dei nostri bisogni non soddisfatti, dei nostri valori calpestati, delle nostre ferite ancora aperte. Imparare ad ascoltarle è un atto di amore verso se stessi.

Il senso di colpa: punizione o guida?

Una delle emozioni più complesse da gestire è il senso di colpa. Spesso vissuto come un macigno, esso può diventare un’opportunità di crescita, se interpretato correttamente.
Il senso di colpa non serve a punirci, ma a segnalarci che qualcosa, in noi o nel nostro comportamento, è in dissonanza con i nostri valori più profondi.

Quando riconosciamo di aver sbagliato, abbiamo l’opportunità di modificare il nostro comportamento, di chiedere scusa, di riparare.
Questo processo, però, richiede coraggio e onestà. Altrimenti, si rischia di scivolare nella trappola del vittimismo, dove il senso di colpa diventa una scusa per non agire, per non cambiare, per restare fermi in una zona di apparente sicurezza.

Emozioni e filosofie orientali: un diverso approccio

Le filosofie orientali, come il buddhismo, propongono una visione differente. Il senso di colpa, in queste tradizioni, non è centrale.
Si pone invece l’accento sulla responsabilità personale e sulla coscienza individuale. L’azione sbagliata non richiede punizione, ma consapevolezza e trasformazione.

Tuttavia, questo non significa che il dolore o le emozioni forti debbano essere ignorate. Al contrario, il punto è proprio come ci si relaziona a esse.
Se il senso di colpa ci aiuta a vedere con chiarezza dove abbiamo mancato, allora diventa utile. Se invece ci paralizza, ci umilia e ci impedisce di evolvere, allora non è più una guida, ma un ostacolo.

Cambiamento e crescita: un percorso non lineare

Cambiare non è facile. Richiede energie, tempo, pazienza e soprattutto nuove risorse interiori.
È un processo che parte dall’accettazione dell’errore, dalla consapevolezza delle proprie dinamiche e si sviluppa attraverso piccoli, ma continui, passi.
Riconoscere un comportamento dannoso non basta: è necessario imparare a modificarlo, ad agire in modo nuovo.

Molti, tuttavia, preferiscono restare fermi, “vivacchiare”, evitare il rischio. Temono l’intensità delle emozioni e scelgono un galleggiamento esistenziale, fatto di esperienze moderate, di rapporti superficiali, di distacco.
Questo atteggiamento, comprensibile in chi ha attraversato traumi profondi, diventa però un limite se protratto nel tempo, perché priva la vita di profondità e di significato.

Dolore e gioia: due facce della stessa medaglia

Il dolore non è un errore. È parte integrante dell’esperienza umana, al pari della gioia. Anzi, spesso è proprio attraversando la sofferenza che si acquisisce una maggiore consapevolezza di sé e della vita.
Le lezioni più importanti, le trasformazioni più autentiche, spesso emergono dai momenti difficili.

Questo non significa idealizzare il dolore, ma riconoscerne il valore. Solo chi è disposto a entrarci davvero, a viverlo fino in fondo, può poi godere pienamente della gioia.
Le emozioni, infatti, non sono compartimenti stagni: se si chiude una porta, si chiudono tutte. Non si può negare il dolore e pretendere di sentire intensamente la felicità.

Uno degli ostacoli più grandi nella relazione con le emozioni è la paura. La paura di sentire, di soffrire, di esporsi. In molti preferiscono evitare il coinvolgimento, restare in superficie, perché “vivere in profondità” implica vulnerabilità, coraggio, rischio.
Eppure è proprio lì, in quel rischio, che si trova la possibilità di una vita autentica, piena, significativa.

Rifiutare l’emozione significa rinunciare a una parte fondamentale di sé. E alla lunga, questa chiusura diventa una prigione.
Il dolore represso, non accolto, non ascoltato, si trasforma in malessere, in blocchi, in disturbi relazionali.
Ecco perché è fondamentale riaprire il dialogo con se stessi, con il proprio sentire.

La relazione come specchio e laboratorio emotivo

Le emozioni trovano il loro terreno privilegiato nelle relazioni. È attraverso l’altro che le nostre fragilità emergono, che i nostri limiti si rivelano, che le nostre risorse si attivano.
Ma la qualità delle relazioni dipende sempre dalla qualità della relazione che abbiamo con noi stessi.

Avere ferite aperte, non curate, significa non essere pronti a stare davvero con l’altro.
La terapia, in questo senso, diventa un luogo protetto dove guardare, riconoscere, guarire. È un balsamo, una cura, ma anche una palestra per imparare nuovi modi di sentire, di stare, di vivere.

In un’epoca in cui si tende a fuggire da tutto ciò che è scomodo, doloroso, impegnativo, riaprire il contatto con le emozioni diventa un atto rivoluzionario. Significa scegliere di vivere, non solo di sopravvivere.
Significa accogliere l’interezza della propria esperienza, senza negare nulla, senza censurare nulla.

L’arte terapia offre uno strumento potente per questo processo. Attraverso il simbolo, l’immagine, il gesto, ci permette di accedere al nostro mondo interno, di comprenderlo, di trasformarlo.
Le emozioni, allora, non sono più nemiche da temere, ma alleate da ascoltare. E in questo ascolto, forse, possiamo finalmente ritrovare noi stessi.

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