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La rubrica Il Punto di Vista è a cura dello scrittore e giornalista Max del Papa e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.
GEMELLE KESSLER E LA FINE DELLE LIBERTÀ INDIVIDUALI
La recente scomparsa delle gemelle Kessler, icone di un’Italia spensierata e vitale, non è stata solo la fine di un’era, ma ha innescato una profonda e controversa riflessione sulla libertà individuale e il diritto di scegliere il proprio destino.
La loro decisione di ricorrere all’eutanasia, stanche di una vita segnata dalla solitudine e dall’alienazione a 90 anni, ha diviso l’opinione pubblica, riaccendendo il dibattito tra pro e contro, tra etica laica e dogma religioso. E
ppure, osservando la loro scelta da una prospettiva più ampia, essa diventa il tragico epilogo di una vita vissuta in simbiosi e il simbolo estremo di un’autodeterminazione che oggi sembra essere sotto attacco da più fronti.
Le Kessler hanno rappresentato il boom economico, la voglia di vivere, la leggerezza e persino una timida rivoluzione sessuale con le loro gambe lunghe e le calze nere che scandalizzavano il Vaticano.
Erano l’immagine stessa della vitalità. Vedere questa parabola di allegria e successo concludersi in una casa deserta, con un’iniezione letale condivisa guardandosi negli occhi, è una tragedia di proporzioni epiche.
È la storia di un’intera vita di luci della ribalta che si spegne nel buio di una scelta definitiva, un atto che va oltre la disperazione e che, proprio per questo, dovrebbe essere considerato ingiudicabile.
Rifiutare di pensare a un Dio punitivo che si accanisce su chi, stremato dal dolore, decide di porre fine alla propria sofferenza è un atto di umanità. Anzi, in una prospettiva di fede, un gesto simile potrebbe essere interpretato non come una bestemmia, ma come un’ultima, disperata invocazione: “Signore, non ne posso più, vengo a trovarti”.
È la rinuncia all’istinto primario della vita, un passo compiuto quando il peso dell’esistenza diventa insopportabile. È una dimensione del dolore che nessuno ha il diritto di giudicare dall’esterno.
Ma la questione della scelta finale delle gemelle Kessler apre un vaso di Pandora che va ben oltre il dibattito sull’eutanasia.
Diventa una lente d’ingrandimento su una tendenza molto più pervasiva e preoccupante: l’ascesa di un paternalismo autoritario dello Stato che si insinua in ogni aspetto della vita privata, arrogandosi il diritto di decidere cosa sia giusto per l’individuo.
Lo Stato dovrebbe intervenire solo di fronte a un pericolo reale e attuale.
Un esempio lampante è il caso della famiglia di Chieti che viveva nei boschi, i cui figli sono stati allontanati dai servizi sociali.
Al di là del merito della scelta di vita dei genitori, l’intervento autoritario dello Stato solleva un interrogativo fondamentale: fino a che punto le istituzioni possono sostituirsi al giudizio di una famiglia, finché non viene provato un danno concreto per i minori?
Questo approccio stridente contrasta tragicamente con i casi in cui lo Stato, invece, non interviene, come nelle terribili vicende di madri con evidenti problemi psichiatrici che arrivano a uccidere i propri figli, nonostante le segnalazioni.
Questa deriva autoritaria raggiunge il suo apice, quasi grottesco, con la nuova proposta di legge sulla violenza sessuale.
L’idea di dover fornire un “consenso libero, attuale e informato” nel momento stesso di un rapporto sessuale è una norma definibile come psicopatica.
Trasforma l’intimità in un atto burocratico, un contratto da firmare e vidimare a ogni cambio di posizione.
È una legge che, invece di affrontare la piaga reale e infame della violenza, annacqua tutto in un limbo giuridico, aprendo la porta a ripicche, accuse strumentali e processi basati sul “ripensamento”.
Invece di proteggere le vere vittime, rischia di creare un clima di sospetto perenne, dove un abbraccio o un bacio potrebbero trasformarsi in un’accusa postuma.
Che due donne di schieramenti politici opposti, Giorgia Meloni ed Elly Schlein, abbiano trovato un accordo su una simile follia, dimostra come il paternalismo non abbia colore politico.
A completare questo quadro di controllo ideologico c’è il fanatismo del “politicamente corretto”, che arriva a modificare le parole di una canzone come “Quello che le donne non dicono”, trasformando un’espressione artistica in un comizio.
È un’idiozia che rivela la pretesa di imporre una visione del mondo unica, cancellando ogni sfumatura.
Dalla libertà di morire alla libertà di vivere come si crede, fino alla libertà di amare e di esprimersi, il filo conduttore è la progressiva erosione dello spazio individuale.
La parola “individuo” viene vista con sospetto, come se fosse un termine egoistico e non il fondamento di una società libera, la creazione unica e irripetibile che, per chi crede, è opera divina.
Quando lo Stato si prefigge di dirti come crescere i tuoi figli, come riscaldarti, cosa mangiare diventa dittatura
A questo punto, la provocazione finale sorge spontanea e ci riporta al punto di partenza: se ti tolgono tutto, se ogni libertà personale viene soppressa in nome di una presunta sicurezza o di un’ideologia dominante, che valore ha continuare a vivere?
La scelta tragica delle gemelle Kessler, in questa luce, non è più solo una storia di disperazione personale, ma diventa il monito più estremo e spaventoso. Quando l’individuo viene annullato, la tentazione di dire “basta” e scendere definitivamente dalla giostra diventa una possibilità terribilmente comprensibile.
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