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La rubrica Il Punto di Vista è a cura dello scrittore e giornalista Max del Papa e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.

Il Giornalismo nell’Era della Disillusione e dell’Intelligenza Artificiale: Una Riflessione Profonda

Nel panorama mediatico contemporaneo, il giornalismo si trova ad affrontare sfide epocali che ne stanno ridefinendo non solo la percezione pubblica, ma anche la sua stessa essenza e funzione democratica.
Un recente dibattito ha messo in luce la profonda disillusione che attanaglia la professione e il pubblico, evidenziando una crisi di fiducia aggravata dall’avanzare inesorabile della tecnologia.

Massimo del Papa, giornalista con un’esperienza trentennale, ha condiviso riflessioni toccanti e personali che svelano le crepe di un sistema in bilico. Attraverso la lente della sua battaglia contro il cancro, ha raccontato come la malattia abbia mutato la sua percezione del mestiere, rendendogli “insostenibile la leggerezza dell’essere pretenziosi” in un ambiente spesso autocelebrativo.
La sofferenza ha agito da catalizzatore, spingendolo a riconoscere la necessità di “dire le cose come stavano”, una vocazione che la società, tuttavia, sembra non perdonare più.

La critica mossa al giornalismo non è unidirezionale. Da un lato, c’è la palese constatazione che la categoria “se lo merita” il disprezzo.
L’immagine del “pennivendolo”, del “servo del potere”, è diventata fin troppo radicata nell’immaginario collettivo, offuscando il valore di chi ancora cerca di svolgere con integrità il proprio lavoro.
La facilità con cui chiunque oggi si sente in diritto di “fare informazione” tramite i social media ha ulteriormente eroso la credibilità della professione, trasformando la comunicazione in un flusso indistinto dove l’autorevolezza è spesso sacrificata all’immediatezza.

Il problema si acuisce con la crescente “raggiungibilità” dei giornalisti, un’arma a doppio taglio che li espone a un “torrente di odio” senza precedenti. Commenti virulenti, minacce di morte e auspici di malattia sono diventati la norma, mettendo in luce un imbarbarimento sociale che va ben oltre la semplice critica.

Del Papa ha espresso il suo rammarico per la “scomparsa dell’umana pietà riservata ai malati gravi”, ora ritorta in “odio rabbioso”. Questa violenza verbale non è solo il frutto di una frustrazione diffusa, ma, in molti casi, assume la forma di una vera e propria censura, volta a “impedire di portare avanti le tue idee”.
La tattica del “killeraggio” mediatico, orchestrata anche da figure influenti, trasforma il dibattito in una battaglia senza esclusione di colpi, dove la verità si smarrisce nel frastuono dell’aggressività.

La figura del giornalista si confonde con quella della “pop star”, soggetta a esaltazioni effimere e odi viscerali.

Ma il giornalismo, come ha sottolineato Del Papa, “non è questo”. Richiede responsabilità, serietà e lealtà, valori che si scontrano con la logica dell’apparire a tutti i costi, della frequentazione di ambienti poco edificanti e della collusione con dinamiche di potere discutibili.
La domanda cruciale che emerge è: “Che altro dovrebbe fare un operatore delle informazioni?” La risposta, forse, risiede nella riaffermazione di una funzione democratica che sembra essere “saltata completamente”.

L’altra grande minaccia all’informazione e alla società democratica è rappresentata dall’avanzata dell’Intelligenza Artificiale.
Se da un lato l’AI può essere un “miglioramento” per la produzione di contenuti, dall’altro lato presenta pericoli inquietanti.
I video e le immagini generate dall’AI, ormai indistinguibili dalla realtà, espongono le persone a un rischio senza precedenti di essere coinvolte in situazioni compromettenti, dall’orgia alla strage, tutto completamente falso ma “totalmente verosimile”.

“La potenza dell’immagine è devastante”, e una volta che un’immagine o un video falso circola, è quasi impossibile cancellarne l’impatto, anche dopo che la sua falsità è stata smascherata.
Ma il pericolo è anche bifronte: l’AI potrebbe diventare un alibi per chi compie azioni turpi, permettendo di negare la propria responsabilità invocando la manipolazione digitale.

I tribunali, tradizionalmente lenti a comprendere le nuove tecnologie, si troveranno di fronte a “grandi tragedie” nel distinguere il vero dal falso. Il confine tra ciò che è reale e ciò che è creato artificialmente è “totalmente azzerato”, e con esso la possibilità di distinguere tra fatti e finzione.

Questa vertiginosa corsa tecnologica, guidata da un credo “post-liberistico” secondo cui “tutto quello che si può fare si deve fare”, ci ha portati a un punto di non ritorno.
“L’uomo se l’è sempre cavata”, ma questa volta, la pervasività e l’irreversibilità della tecnologia sollevano seri dubbi sulla nostra capacità di salvezza. Se il giornalismo e l’informazione, pilastri della democrazia, hanno perso il loro senso e la loro funzione, e se la realtà stessa è manipolabile a piacimento, allora “tutti i segnali ci dicono che in realtà questa volta non ci salviamo”.

Un quadro preoccupante.

È un monito a riflettere sulla responsabilità individuale e collettiva di fronte a un futuro incerto, dove la ricerca della verità e la difesa della democrazia richiederanno una consapevolezza e una forza d’animo fuori dal comune. La domanda rimane aperta: possiamo ancora recuperare un senso di fiducia e integrità in un mondo che sembra aver perso il contatto con la realtà?

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