di BEATRICE SILENZI

Su uno sfondo scuro una ragazza, ritratta di profilo, ruota la testa mostrando il viso di un’innata sensualità, ancora acerba, sottolineata da un turbante azzurro e da un un orecchino. Di perla.

Da qui il titolo dell’opera, o meglio, l’altro nome con cui è conosciuta la ragazza col turbante, ritratta da di Jan Vermeer, che per molti è la Ragazza con l’orecchino di perla.

Simbolo di fertilità e fortuna presso la Grecia antica, le perle, secondo il mito, sono associate ad Afrodite, dea nata dalla spuma del mare (e da qui il colore) e come emblema d’amore, buon auspicio e femminilità sono per alcuni il dono perfetto per le spose.

Per altri, invece, sono sinonimo di lacrime e di malasorte, da sconfiggere solo comprandole in numero pari, con i propri soldi, o dando in cambio una moneta, se le si riceve da qualcuno.

Dalla Regina Elizabetta II a Lady D, ad Audrey Hepburn tante donne le hanno indossate ritenendole particolarmente eleganti, anzi, ne hanno fatto il proprio segno distintivo.

Tre secoli e una manciata di decenni dopo il dipinto di Vermeer, anche le perle non sono più una prerogativa squisitamente femminile.

È tempo di voltare pagina.
Il carrozzone gender esige il suo spazio e, si sa, l’ideologia è più forte di qualsivoglia buon senso.

Il choker bianco di perle coltivate, è per tutti. E indossarlo non è solo moda.

Anche se l’attacco è bellicoso come un piumino da cipria e viene realizzato giocando sulla curiosità, sul trend e su ciò che la maggior parte della gente considera insolito, tuttavia è stato lanciato.

Ed a sdoganare queste bizzarrie – a beneficio soprattutto della Generazione Z (ovvero dei ragazzi nati tra l’ultimo decennio del Novecento e il 2010), altrimenti definita come quella dei “nativi digitali” – ci pensano gli artisti più popolari del momento, aiutati da immancabili influencer (poiché, negli ultimi anni, fanno entrambi parte della stessa categoria).

Il messaggio sotteso – di pura propaganda – richiama all’emancipazione e alla libertà di espressione, come se i gioielli potessero spazzare lontano gli stereotipi, creando uno spazio per una nuova forma di espressione genderless (senza distinzione di genere)!

Così, il filo di perle, evergreen immancabile e probabilmente il gioiello più tradizionale che esista, presente nei ritratti ad olio dei sovrani europei e dei Maharaja indiani, attraversa una rivoluzione sotterranea.

Se in passato, uomini e donne, per esprimere il loro potere e la loro conoscenza, indossavano perle in abbondanza, in questa nuova accezione, indossare questa collana significa ispirarsi alla cultura Queer (che a sua volta si rifà alla ballroom culture, all’anarco-punk, al preppy) per esprimere dissenso, ridefinendo la propria identità in un contesto sociale che – a loro sentire – risulta limitante.

Il fenomeno, dunque, ricorda la solita modalità Queer secondo la quale un gesto dimostrativo è più efficace di mille parole.

Per cui, chiunque sceglie di indossare una collana di perle, indipendentemente dal genere, lo fa per esprimere la propria individualità e ribadire il suo valore nel mondo.

Anche gli sportivi seguono il trend. Joc Pderson, giocatore di baseball, ha conquistato tutte le basi, con un collier di perle al collo, ma i cestisti non sono da meno.
Gli idoli della musica pop, da
Harry Styles a Justin Bieber, o Damiano dei Måneskin, l’hanno già fatta propria, facendo dilagare la tendenza.

Designer di moda e grandi brand – pregustando nuovi introiti – abbracciano questa trasformazione, alimentando l’hype intorno ad un gioiello che prima vendevano solo alle donne, lanciando sul mercato la collana di perle da uomo.

Piccola nota in conclusione.

Curioso come un filo di candide perle coltivate, che inneggia all’inclusività, resti invece, a causa del suo costo elevato, oltremodo esclusivo!