di GIORGIO PANDINI
Immaginate di svegliarvi una mattina e scoprire che quasi quarant’anni della vostra esistenza sono stati cancellati.
Non è la trama di un romanzo distopico, ma la cruda realtà di Luciano D’Adamo, uomo di 68 anni, la cui mente è rimasta ancorata al 1980 dopo un incidente stradale avvenuto a Roma nel 2019.
La sua storia è oggi un resoconto toccante di smarrimento e lenta, ma coraggiosa ricostruzione.
Il risveglio di Luciano in ospedale è stato un autentico tuffo nel passato.
Convinto di avere 23 anni, e non quasi 70, Luciano ha tentato di chiamare sua madre, ignaro che il mondo intorno a lui fosse progredito ben oltre le sue ultime memorie. Dalla correzione sul prefisso telefonico da parte del medico, al sorriso perplesso sulla sua imminente data di matrimonio, ogni interazione ha sottolineato il divario tra la sua percezione e la realtà effettiva.
L’arrivo di una “sconosciuta” che lo chiamava per nome e, poco dopo, di un uomo che si presentava come suo figlio, ha generato nelluomo una profonda confusione. “Ecco il matto”, pensava Luciano, incapace di conciliare l’età dell’uomo-figlio dinanzi a lui con i suoi appena 23 anni.
La tecnologia moderna, come lo smartphone con le immagini digitali, gli appariva del tutto aliena, portandolo a domandarsi dove si trovasse il rullino fotografico.
Il momento più scioccante è poi giunto davanti allo specchio: vedere un “anziano signore” al posto del giovane che credeva di essere lo ha gettato nel panico. Un urlo e poi la spiegazione delle infermiere “Siamo nel 2019”, hanno aperto un abisso di incomprensione.
La sua ultima vivida memoria risaliva a marzo 1980: un giorno normale interrotto da un incidente. La verità, ben diversa era che l’impatto che ha determinato l’amnesia è avvenuto quasi quattro decenni dopo, mentre lavorava come cuoco.
Trentanove anni sono stati inghiottiti da un vuoto insondabile.
Luciano non rammentava eventi storici cruciali, figure politiche di spicco o progressi culturali. “È come se non li avessi vissuti”, affermava con un velo di tristezza. La lotta per ricostruire la sua vita è oggi incessante, a partire da quel primo giorno del risveglio.
Con l’aiuto della moglie Tina, quella diciannovenne che ora è la sua compagna di una vita, ha intrapreso un percorso di “ricostruzione” presso l’istituto Santa Lucia.
Cartelle piene di foto, video e scritti sono gli strumenti per riannodare i fili del tempo.
I ricordi, quando affiorano, sono “flash” rari ma intensi: una melodia, un rigore della Roma (che si scopre essere il celebre “cucchiaio” di Totti, un calciatore per lui sconosciuto), i dettagli della nascita dei suoi figli, Simone e Marco: la sua memoria è paragonata a un juke-box anni ’70, che lascia scendere un solo disco alla volta, rendendo l’accesso ai ricordi un evento fortuito.
Anche il mondo esterno gli appare irriconoscibile: l’automobile moderna, il navigatore satellitare e il televisore a schermo piatto sono per lui meraviglie tecnologiche.
La sua nuova casa a Ladispoli, città che conosceva solo per un lavoro estivo da bagnino, è per lui un luogo estraneo.
La mancanza di familiarità con eventi epocali come Tangentopoli, la caduta del Muro di Berlino o le Torri Gemelle sottolinea l’ampiezza della sua perdita.
Nonostante la desolazione per i ricordi perduti, Luciano dimostra una straordinaria curiosità.
Google è diventato il suo alleato nella rieducazione al mondo contemporaneo: ha persino imparato a usare lo smartphone, grazie all’aiuto di un portiere scolastico.
La felicità, però, resta un miraggio.
La scoperta della morte della madre, senza alcun ricordo del lutto e l’incapacità di riconoscere uno dei suoi fratelli, pesano come macigni.
“Ho vissuto solo un terzo della mia vita”, lamenta, “trentanove anni sono nel buio.” La sua esistenza è una testimonianza commovente di come la memoria non sia solo un archivio di eventi, ma l’essenza stessa della vita vissuta.