Clicca per guardare il video
Su Fabbrica della Comunicazione, Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile – si occupa della rubrica, “Comunicazione e Dipendenze”, in collaborazione con Studi & Salute Bolgan.
Ospite di questo appuntamento è la dott. Cristina Ombra, psicoterapeuta.
Un’analisi approfondita svela come i modelli educativi repressivi, spesso mascherati da buone intenzioni, possano creare ferite profonde che influenzano le nostre vite. La chiave non è eliminare il bambino che è in noi, ma imparare a prendersene cura.
“Quasi ovunque si ritrova la tendenza a sbarazzarsi il più in fretta possibile del bambino che è in noi”, dal celebre libro “Il Dramma del Bambino Dotato” di Alice Miller. Una frase che funge da portale per un’esplorazione profonda e a tratti scomoda delle trappole nascoste nell’educazione e delle loro conseguenze sulla nostra vita adulta.
Il concetto di “bambino dotato” non si riferisce a un’intelligenza superiore, ma a un’acuta sensibilità.
È il bambino che, per ottenere l’amore e l’approvazione dei genitori, impara a sopprimere i propri bisogni autentici per adattarsi alle aspettative altrui.
Diventa un bambino “buono”, sorridente, educato, che non dà mai fastidio.
Ma questo comportamento, spiega la psicoterapeuta, ha un costo altissimo: la disconnessione dal proprio vero Sé.
Al centro c’è il concetto di “pedagogia nera”, un approccio educativo, spesso inconscio, volto a dominare e reprimere le emozioni del bambino.
“Non si tratta solo di punizioni fisiche”, chiarisce la Dott.ssa Ombra, “ma anche di umiliazioni psicologiche”. L’esempio è illuminante: un genitore che ride della frustrazione del proprio figlio che piange perché non ha ricevuto il gelato. Quell’atto, apparentemente innocuo, è un’umiliazione che insegna al bambino che le sue emozioni non sono valide, che la sua sofferenza è ridicola.
Questo modello educativo, che per secoli ha considerato il bambino come un “piccolo selvaggio da domare”, mira a creare individui obbedienti e funzionali, non adulti emotivamente sani.
“E tutto ciò lo chiamiamo educazione”, sottolinea l’intervista, evidenziando il paradosso di un sistema che, nel tentativo di formare, finisce per ferire.
Le ferite di quel bambino interiore non spariscono. Riemergono nell’età adulta sotto forma di reazioni emotive incontrollate, rabbia improvvisa, difficoltà relazionali o, al contrario, in una paralizzante paura di vivere.
“L’incapacità di sentire le proprie emozioni, il bisogno di umiliare gli altri o la difficoltà ad affrontare il cambiamento sono tutti possibili risvolti”, spiega la Dott.ssa Ombra.
Questo disagio si manifesta anche nella genitorialità.
La tendenza moderna del “genitore amico”, che abdica al proprio ruolo autorevole, o quella opposta del genitore iper-rigido, nascono dalla stessa confusione. Sono tentativi di gestire un modello educativo ereditato ma mai elaborato.
Come si spezza questa catena?
La soluzione non è cancellare il bambino interiore, ma riconoscerlo e integrarlo.
La Dott.ssa Ombra introduce il concetto di “testimone compassionevole”: una figura (un insegnante, un parente, un terapeuta) che nella vita del bambino ha saputo vedere e validare le sue vere emozioni, offrendo un’ancora di salvezza.
Per chi non ha avuto questa fortuna, la strada è quella del “reparenting”: imparare a diventare genitori di se stessi.
“Si tratta di attivare al proprio interno una parte che sappia prendersi cura del proprio bambino interiore”, afferma la psicoterapeuta.
Gli strumenti per farlo sono la consapevolezza (Mindfulness), la gentilezza e l’auto-compassione. Significa dare finalmente voce a quella parte di noi a cui è stato imposto il silenzio, ascoltare i suoi bisogni e le sue paure senza giudizio.
Il video pubblicato è di proprietà di (o concesso da terzi in uso a) FABBRICA DELLA COMUNICAZIONE.
E’ vietato scaricare, modificare e ridistribuire il video se non PREVIA autorizzazione scritta e richiesta a info@fcom.it.