di GIORGIO PANDINI

Duecentocinquantamilaeuro.
O, come si fa con il libretto degli assegni, #250.000#. Questa è la cifra ricavata dalla vendita all’asta della cosiddetta collezione Bertinotti avvenuta presso la casa d’aste Finarte di Milano qualche giorno fa.

Con questo ragguardevole risultato è stata scritta la parola “fine” ad una piccola querelle che ha visto l’ex presidente della Camera, nonché ex segretario di Rifondazione Comunista dal 1994 al 2006, impegnato a rintuzzare le pungenti provocazioni trasversali che lo hanno raggiunto dopo il suo annuncio sull’intenzione di vendere alcuni pezzi della sua collezione privata di opere d’arte.

La vendita all’incanto ha riguardato due serigrafie di Andy Warhol del 1972 raffiguranti Mao Tse Tung, nel consueto stile dell’artista statunitense, dal valore stimato di circa venti o trentamila euro ciascuna, ereditate – non senza strascichi giudiziari – dal banchiere Mario D’Urso ricchissimo uomo d’affari e membro del consiglio d’amministrazione di Lehman Brothers.
Oltre a questo c’erano due quadri dell’artista Piero Dorazio, dal valore stimato di circa quattromila euro ed infine una scultura in ceramica di Giosetta Fioroni dello stesso valore e un quadro di Titina Maselli, sorella del noto regista Citto, del valore di seimila euro.

Con l’annuncio è arrivato, pungente, anche il sarcasmo sull’ipocrisia del comunismo radical chic che se da una parte disquisisce di lotte sociali per i meno abbienti, dall’altra accumula ingenti patrimoni e fa le vacanze a Cortina o in Costa Smeralda.
C’è chi addirittura si è spinto a sparare cifre oggettivamente assurde sul valore degli oggetti da cui Bertinotti ha deciso di separarsi.

L’interessato, interpellato da Repubblica, ha in prima battuta spiegato che la scelta è stata dettata da una semplice necessità di denaro (aggiungendo che i pezzi che gli interessano se li tiene!), ma rendendo tutti edotti dell’esistenza di una collezione più ampia, di cui è bene non parlare.
In secondo luogo ha replicato con soddisfazione: “Mi prendo così una piccola vendetta sui pettegoli e gli invidiosi che ci hanno ricamato sopra. Dovrebbero scusarsi per tutte le cattiverie che sono state dette. Basta ironie sui comunisti ricchi”.

Con buona pace dei compagni duri e puri – e dei suoi detrattori – non sappiamo se lo abbia detto sventolando il suo Rolex d’ordinanza. Tuttavia è pacifico che Fausto Bertinotti non entrerà in possesso dell’intera cifra: ad essa saranno da sottrarre tutte le commissioni, per la casa d’aste e per l’intermediario che ha curato la vendita.