di GIORGIO PANDINI
Una recente e significativa ordinanza della Corte di Cassazione ridefinisce il perimetro di responsabilità degli istituti bancari in caso di prelievi e pagamenti non autorizzati tramite strumenti elettronici.
La Suprema Corte ha chiarito che, per esimersi da oneri e obblighi, gli intermediari finanziari devono dimostrare di aver adottato ogni precauzione necessaria per prevenire i rischi di frode, spostando di fatto l’onere della prova in modo sostanziale.
La decisione scaturisce da una vicenda risalente a quindici anni fa, che ha visto protagonista una correntista che aveva contestato ben ventitré operazioni fraudolente presso il Tribunale di Salerno, per un importo complessivo di 5.725 euro, eseguite tramite bancomat sia in Italia che all’estero, e persino dopo la sostituzione della carta.
Nonostante la cliente avesse sempre sostenuto di aver mantenuto la carta in suo possesso, le istanze di risarcimento avanzate in primo e secondo grado erano state respinte.
I giudici precedenti avevano ritenuto insufficienti le prove fornite dalla donna e avevano dato credito alla tesi della banca secondo cui la conoscenza del PIN implicava una possibile responsabilità del titolare o dei suoi familiari.
La Cassazione, tuttavia, ha ribaltato le precedenti sentenze, rilevando un “grave difetto motivazionale”.
La Suprema Corte ha sottolineato come la presentazione dei timbri sul passaporto, a dimostrazione dei viaggi all’estero, non fosse stata adeguatamente valutata dai giudici di merito.
Soprattutto, ha rigettato l’assunto che l’inserimento del PIN trasferisse automaticamente ogni responsabilità sul cliente, anche in caso di frode.
La Corte ha riaffermato che la responsabilità delle banche per le operazioni effettuate con dispositivi elettronici è di natura contrattuale e presunta.
Ciò significa che spetta all’intermediario finanziario dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio e a contrastare l’utilizzo illecito dei codici da parte di terzi.
Solo in presenza di una “colpa grave” del cliente – come, ad esempio, una segnalazione tardiva dell’uso non autorizzato dello strumento di pagamento – la banca può essere sollevata dalle sue responsabilità.
La Cassazione ha precisato che la possibilità che i codici di accesso siano sottratti al correntista tramite tecniche fraudolente rientra nel “rischio d’impresa”.
Di conseguenza, per non rispondere dei danni, la banca è tenuta a provare che l’evento dannoso si è verificato a causa di “eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore”.
Questa pronuncia stabilisce un precedente significativo, rafforzando la protezione dei consumatori e incentivando gli istituti di credito ad implementare sistemi di sicurezza sempre più robusti ed efficaci.