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La rubrica Il Punto di Vista è a cura dello scrittore e giornalista Max del Papa e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.

Ricorrenze vuote di significato: Il Carnevale Perpetuo

C’è un filo invisibile che attraversa la nostra epoca e la rende così fragile e inquieta: la fuga dalla realtà. Non una fuga rumorosa, ma silenziosa, travestita da festa, consumismo e intrattenimento. 
È il 1 novembre, una giornata tradizionalmente legata alla memoria dei defunti.
Eppure, mentre molti si recano nei cimiteri a deporre crisantemi su tombe spesso dimenticate per il resto dell’anno, Massimo Del Papa smonta la retorica di un rito svuotato: “Non è devozione, è turismo del cimitero. Si fa un giro come se fosse una gita familiare e poi si torna a casa, a posto così fino al prossimo anno”.

Un gesto che dovrebbe custodire il ricordo e il legame con chi non c’è più si è trasformato in abitudine sociale, in gesto automatico. Come molte altre ricorrenze: Pasqua e Natale ridotti a slogan pubblicitari, San Valentino a operazione commerciale, Carnevale a spettacolo grottesco.
E poi Halloween, il caso più emblematico dell’americanizzazione culturale. Ogni anno se ne discute l’origine, la si giustifica come festa celtica o la si demonizza come rituale satanico, ma spesso ci si dimentica il punto vero: il significato non interessa più a nessuno. Rimane solo la superficie, il travestimento, il divertimento che non pensa, non sceglie, non si interroga.

Halloween: festa o sintomo di un vuoto culturale?

“È diventato un troiaio”, afferma Del Papa con brutale sincerità.
Madri e padri vestiti da streghe sexy e pirati per emulare modelle e serie TV, costumi comprati nei centri commerciali con mesi di anticipo, social network inondati di immagini, bambini trasformati in comparse del marketing.
“La scusa è far divertire i bambini. Ma i bambini dopo un’ora si annoiano. È un rito per adulti infantili”.
Il giudizio può apparire duro, ma colpisce un nervo scoperto: viviamo in una società che non accetta più il limite, né il dolore, né la profondità. Preferiamo travestirci piuttosto che incontrare noi stessi.

Una Chiesa che segue anziché guidare

Ma Halloween è solo l’emblema di un fenomeno più grande: la desacralizzazione progressiva della cultura cristiana, sostituita da un sincretismo superficiale, buonista e privo di fondamenta.
Massimo Del Papa non risparmia critiche nemmeno alla Chiesa cattolica contemporanea: “Anche la Chiesa si è arresa. Ha smesso di essere guida spirituale e ha scelto di adeguarsi alla moda del mondo”.

Secondo Del Papa, il problema non è la fede delle persone, ma il modo in cui i vertici ecclesiastici hanno scelto di dialogare con il mondo: “Siamo oltre l’anticristo”, afferma provocatoriamente parlando di alcuni esponenti come il cardinale Zuppi o la Comunità di Sant’Egidio, accusati di ideologia progressista e di complicità con logiche politiche e mediatiche.
“Il risultato? Una Chiesa che benedice il gender fluid, sdogana l’utero in affitto, sostiene l’immigrazione incontrollata senza occuparsi dei poveri che ha in casa”.
Una provocazione che apre un tema cruciale: quando le istituzioni smettono di essere punti di riferimento etici, il vuoto viene riempito dal caos morale.

Il Natale che non finisce più e le città delle lucine

“Avete notato che le lucine di Natale non le tolgono più?” domanda Del Papa. È una di quelle osservazioni apparentemente frivole che però raccontano molto: viviamo in un Natale permanente.
Non perché siamo più buoni, ma perché abbiamo paura di spegnere le luci e vedere il buio che abbiamo dentro. Le luminarie restano accese anche ad agosto perché fanno da anestetico collettivo.
Riempiono il vuoto di senso delle città svuotate, dei paesi abbandonati, dei rapporti umani scollati.

Del Papa cita Porto San Giorgio, simbolo di tanti centri italiani: negozi chiusi, piazze vuote, vita sociale quasi azzerata. Ma sugli alberi restano le luci decorative. “Illuminano il nulla”, dice. “Sono scenografie del vuoto”. 
Per comprendere questa deriva culturale, Del Papa cita un libro: Immaturità.

La malattia del nostro tempo di Francesco Cataluccio. Una chiave di lettura potente del presente. Viviamo — sostiene l’autore — in una società infantilizzata, che rifiuta la fatica, il limite, la responsabilità.
Ci rifugiamo in un “paese dei balocchi” permanente fatto di eventi, feste, shopping, social, slogan motivazionali e gossip. Un’apparente felicità collettiva che nasconde una tristezza storica, un’intera generazione adulta incapace di diventare adulta davvero.
“Si accendono le lucine di Natale a ottobre perché viviamo vite noiose”, dice Del Papa. “Abbiamo una vita disperata, senza prospettive, e le decorazioni servono per non pensarci”.

Dal sacro al commerciale: la perdita del significato

Gli esempi si moltiplicano: alberi di Natale sostituiti da piramidi di scatole firmate, presepi relegati in chiese laterali quasi clandestinamente, simboli cristiani rimossi dallo spazio pubblico per non “offendere nessuno”. Ma cosa resta quando si toglie il significato? Resta la forma senza sostanza.

Del Papa racconta la storia di San Nicola di Bari, figura storica e religiosa da cui nasce la tradizione di Santa Claus.
È una storia di bontà concreta, di carità vissuta, di riscatto umano. Nulla a che vedere con Babbo Natale mascotte del consumo.
“È sempre Natale e quindi non lo è mai”, conclude. Tutto è diventato festa e quindi niente è più sacro.

Le ricorrenze religiose, i momenti della vita, le tradizioni, sono diventate irriconoscibili perché abbiamo smarrito il fondamento simbolico che le teneva insieme.
Ci aggrappiamo allora all’estetica delle feste, dei rituali collettivi, degli eventi di massa, perché abbiamo paura del silenzio, del dolore, della finitezza. Ma ignorare il dolore non ci rende più liberi: ci rende più fragili.

Il tentativo di cancellare la morte dalla nostra cultura ha prodotto una società che vive male la vita.
Non affronta, non elabora, non comprende. Accumula distrazioni. Ma come ricorda Del Papa, “queste feste hanno sempre un fondo lugubre.
Anche Halloween. Le favole stesse hanno morale amara. La vita non è zuccherosa. È tragica. Ma può essere anche grande, se vissuta con consapevolezza”.

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