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La rubrica Focus Radio è a cura della giornalista Beatrice Silenzi – direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.

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L’esplosione dell’AI spinge i colossi tecnologici a cercare nuove fonti di energia per alimentare i data center.

Un esempio emblematico è l’iniziativa di Google in Tennessee: il gruppo di Mountain View ha annunciato una collaborazione con la startup nucleare Kairos Power e la Tennessee Valley Authority (TVA) per realizzare “Hermes 2”, un avanzato mini-reattore nucleare destinato a fornire elettricità ai data center Google nel sud degli Stati Uniti.

L’impianto da 50 megawatt che rientra in un accordo più ampio avviato da Google nell’ottobre 2024, segnerà un primato: è la prima volta che un’azienda quotata in borsa che fornisce servizi di pubblica utilità statunitense sigla un accordo per acquistare energia da un reattore nucleare di quarta generazione (Gen IV) con operatività prevista entro il 2030.

Anche Amazon e Microsoft stanno scommettendo sul nucleare

Sono mosse significative che indicano un trend emergente: i giganti tech considerano questa soluzione la più promettente per soddisfare la crescente domanda energetica che, a causa dell’adozione massiccia di sistemi di intelligenza artificiale sta facendo lievitare i consumi a livelli senza precedenti.

Basti pensare che elaborare una singola richiesta può richiedere fino a 10 volte più elettricità di una ricerca web tradizionale fino ad arrivare a + 160% entro il 2030, ma in particolare, la componente dovuta alle applicazioni di intelligenza artificiale esploderà rappresentando quasi il 19% dei consumi elettrici dei data center mondiali entro il 2028. Cifre che trovano riscontro anche in studi indipendenti.

In un lavoro del 2023 dal ricercatore Alex de Vries avverte che già entro due anni il fabbisogno energetico legato all’AI potrebbe aumentare di 85-134 terawattora all’anno – pari al consumo annuale di un paese delle dimensioni dei Paesi Bassi.
Un trend che solleva serie preoccupazioni di vario tipo e che porta le aziende legate alla tecnologia a fare nuove considerazioni, spostando l’attenzione verso fonti stabili, come l’energia nucleare, in grado, si dice, di fornire una base costante di elettricità a emissioni zero su cui innestare poi l’apporto variabile delle rinnovabili.

I piccoli reattori modulari, noti con l’acronimo SMR (Small Modular Reactors), rappresentano una nuova generazione di impianti nucleari compatti e avanzati. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) li definisce reattori con una potenza fino a 300 megawatt elettrici per unità – all’incirca un terzo della capacità di un reattore nucleare convenzionale.

Come suggerisce il nome, sono più piccoli sia in termini di dimensioni fisiche sia di output, ma soprattutto sono modulari: molti design prevedono che componenti e sistemi siano fabbricati in serie in stabilimento e poi trasportati e assemblati sul sito operativo, un approccio che mira a ridurre i costi e i tempi di costruzione rispetto alle grandi centrali nucleari tradizionali, spesso su misura e soggette a ritardi e sforamenti di budget.

Dal punto di vista tecnologico, gli SMR sono concepiti per diversi utilizzi: produzione di elettricità per la rete, applicazioni industriali, teleriscaldamento urbano, desalinizzazione dell’acqua e alimentazione di aree remote non collegate a reti elettriche estese.

Alcuni progetti puntano addirittura su micro reattori per comunità isolate o basi militari remote.
Un’altra caratteristica chiave è l’elevata sicurezza poiché gli SMR sono progettati con sistemi e proprietà fisiche che minimizzano il rischio di incidenti: funzionano a bassa pressione e con potenza limitata, utilizzano meccanismi automatici per raffreddare il nucleo in caso di emergenza, senza bisogno di intervento umano o alimentazione elettrica esterna.

In caso di guasto, il reattore può andare in sicurezza da solo, riducendo drasticamente la possibilità di rilasci radioattivi nell’ambiente “a prova di errore umano” molto più rispetto al passato. Sul fronte del combustibile, poi non richiedono ricariche frequenti: un singolo impianto può funzionare da 3 a 7 anni con lo stesso combustibile: un intervallo molto più lungo rispetto a quelle tradizionali, che generalmente vanno ricaricate ogni 1-2 anni.

A partire dal 2020 a oggi sono fioriti oltre 80 progetti di SMR in tutto il mondo

Sviluppati da consorzi pubblici e privati: La Russia è stata la prima ad attivare un mini-reattore commerciale per fornire energia a remoti porti artici, mentre altri prototipi o dimostrativi sono in costruzione o in iter di autorizzazione in paesi come Argentina, Canada, Cina, Corea del Sud, Regno Unito e Stati Uniti, in cui il reattore Natrium (promosso da TerraPower di Bill Gates) è in sviluppo avanzato.

I sostenitori degli SMR vedono in questa tecnologia un passo fondamentale verso fonti non fossili da utlizzare accanto alle rinnovabili. i mini-reattori infatti, a differenza di eolico e solare, non dipendono dalle condizioni meteo e dall’alternanza giorno/notte, ma possono produrre energia in modo continuativo, 24ore al giorno e 7 giorni su 7, tuttavia, un mix di rinnovabili e nucleare può secondo gli esperti, unire il meglio della tecnologia: l’economicità del ambito solare-eolico e la stabilità del nucleare.

La taglia contenuta degli SMR offre poi una flessibilità maggiore nella scelta dei siti. Molti territori dove sarebbe impensabile costruire una grande centrale potrebbero ospitare reattori modulari più piccoli con un vantaggio per portare energia pulita in paesi o comunità remote, dove finora l’alternativa era spesso un generatore diesel.

Inoltre, la natura modulare consente di scalare la potenza gradualmente aggiungendo un reattore per volta man mano che cresce la domanda diminuendo i costi e semplificando manutenzione e aggiornamento tecnologico poiché se un componente modulare diventa obsoleto, sarà sostituito senza rifare l’intero impianto.

Tutti questi miglioramenti progettuali rendono i mini-reattori sicuri: in caso di incidente, gli effetti sarebbero contenuti in un’area assai limitata, cosa che ne facilita l’accettazione da parte del pubblico: i piccoli reattori potrebbero essere percepiti come meno pericolosi rispetto alle grandi centrali.

L’eredità storica degli incidenti è difficile da dimenticare ma la dimostrazione pratica che un SMR può funzionare in sicurezza e essere situato in prossimità di un sito industriale senza rischi aiuta a costruire fiducia nell’opinione pubblica, in più, la capacità di fornire energia potrebbe accelerare la decarbonizzazione di settori come i data center dell’AI e al contempo supportare la stabilità delle reti elettriche in presenza di quote crescenti di rinnovabili.
Ma vi sono anche delle criticità che devono essere elencate, seguile nel video.

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