di GIORGIO PANDINI

“I soli e le sole non hanno ideologie, soltanto una strana avversione per il numero due” cantava quel gran genio di Giorgio Gaber.

In tutto l’attuale marasma del fluido cortocircuito emotivo in cui ci troviamo immersi nostro malgrado, non poteva mancare chi decide di non invischiarsi in un pericoloso rapporto a due.

Meglio stare con se stessi, e perchè non pensare anche di autosposarsi?

Lo so, “autosposarsi” non esiste nel vocabolario ma non esiste nemmeno il termine “sologamia” quindi scrivo quel che mi pare, d’altra parte è così che funziona no?

Ognuno è libero di fare e dire quel che gli va (Gaber cantava anche questo già nel 1976 ma va beh), è il mondo moderno, baby!

Ad ogni modo, andiamo con ordine.

La sologamia, nuova per noi, mentre in Giappone è prassi che esiste da decenni ed è basata sulla scelta filosofica, intimista di accettazione totale di sè stessi e della cura del proprio benessere interiore.

E quale modo migliore di accettarsi se non organizzare un bel matrimonio farlocc….ehm volevo dire rituale con sè stessi?

A Kyoto è attiva da anni una specifica agenzia che si occupa di self wedding, (perchè a dirlo in inglese fa sempre più fico), dove chiunque può decidere di organizzare una bella cerimonia con tanto di abito nuziale, testimoni, fuori e tutto il necessario per infilarsi l’anello al dito, tutto rigorosamente in autonomia!

In Occidente invece, il primo caso di sologamia si verifica negli Stati Uniti trent’anni fa, nel 1993, quanto tale Linda Baker per il suo quarantesimo genetliaco decide di sposare se stessa.

Seguono altri casi sporadici finchè, dieci anni dopo, la pratica viene in qualche modo sdoganata a livello mediatico dalla serie Sex And The City in cui la protagonista Carrie Bradshaw, interpretata dall’attrice Sarah Jessica Parker, in un episodio decide di organizzare un matrimonio a uno.

Il fatto che nella serie le protagoniste femminili siano coinvolte in una sequela di innumerevoli relazioni mordi e fuggi con casi umani di infima categoria, immagino che abbia avuto un certo peso in questa decisione, ma tant’è.

Arrivando ai giorni nostri invece, viene dall’India la storia di Kshama Bindu, una ventiquattrenne che ha rotto tutti i tabù culturali del suo Paese affermando che la scelta è dettata dalla sua esigenza di “crescere e fiorire nella persona più viva, bella e profondamente felice che posso immaginare”.

Ora che questa moda è arrivata anche da noi, subito è partito il “peana new age” basato sull’imparare ad amare sè stessi per poter amare in modo libero e naturalmente… inclusivo!

Un modo un po’ impegnativo per affermare il diktat imperante del “volemose bene” a tutti i costi.

L’ultima annotazione.

Come avrete certamente notato, tutta questa bolla è rigorosamente in rosa, e parrebbe essere appannaggio esclusivo del mondo femminile, se si può ancora dire.

Un’artista italiana, tale Elena Ketra, sta portando in giro per l’Italia e non solo delle performance artistiche basate sulla sologamia, affermando che si tratta di una affermazione della propria indipendenza, forza e bellezza, contro i canoni estetici e sessuali uniformanti, a favore invece dell’inclusione e dell’empowerment femminile, oltre gli stereotipi di genere.

Dite la verità, avete dovuto rileggere l’ultima frase due o tre volte anche voi per cercare di capire il messaggio dell’artista?

Il Signor G aveva ragione e, con la sua consueta arguzia, cantava anche “qualche volta è una scelta, qualche volta un po’ meno…”.

E forse è questa la vera chiave di lettura. Mala tempora currunt.