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Su Fabbrica della Comunicazione, la rubrica dedicata all’economia e alle politiche dell’Unione europea, a a cura di Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile – con Fabio Sarzi Amadè si chiama Spazio Economico.
La Borsa della Resilienza: Origini e Contenuti
Il concetto di “borsa della resilienza” è emerso nelle ultime ore come raccomandazione ufficiale della Commissione Europea, Hadja Lahbib, promosso dalla commissaria per le crisi, citata nel dibattito pubblico come figura chiave nella diffusione di linee guida per la preparazione dei cittadini a potenziali emergenze.
L’idea, presentata in un video istituzionale di 90 secondi, elenca una dozzina di oggetti essenziali da includere in un kit di sopravvivenza per resistere alle prime 72 ore di un conflitto o di una crisi improvvisa.
Tra gli elementi citati:
Acqua e cibo in scatola (mezzo litro d’acqua a persona, considerato da molti insufficiente); documenti d’identità protetti in plastica; torce, fiammiferi e medicine.
La raccomandazione ha suscitato perplessità per il tono quasi frivolo utilizzato nella comunicazione, nonostante la gravità dei temi trattati. La scelta di enfatizzare i contanti, in particolare, appare in contraddizione con il decennale sostegno dell’UE ai pagamenti elettronici, sollevando interrogativi sulle reali priorità della Commissione.
Il Piano della Commissione Europea: Dalle Raccomandazioni alle Azioni Concrete
La borsa della resilienza rientra in un più ampio pacchetto di 30 azioni proposte nel rapporto Niinistö, redatto dall’ex presidente finlandese incaricato di analizzare lo stato della difesa europea.
Tra le misure spiccano:
– Giornata Europea della Preparazione da inserire nei programmi scolastici; Piattaforme digitali per identificare rifugi antiaerei; Esercitazioni di emergenza climatiche, come istruzioni per salire ai piani alti in caso di inondazioni.
Il rapporto, ancora non formalizzato in norme, mira a creare una cultura della “preparazione” tra i cittadini, sebbene critici lo accusino di alimentare un catastrofismo normalizzato.
L’ambiguità tra scenari bellici e climatici, unita alla mancanza di dettagli operativi, rischia di ridurre queste proposte a mere operazioni di comunicazione, prive di un reale impatto strutturale.
Il Dibattito sul Riarmo e le Questioni Costituzionali
Il tema della resilienza si intreccia con il più ampio piano di riarmo europeo da 800 miliardi di euro, annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen.
Questo progetto, definito “Preparazione 2030”, prevede: Deroghe al Patto di Stabilità per finanziare spese militari; Prestiti comuni attraverso l’emissione di debito sui mercati; Riconversioni industriali verso la produzione bellica.
Tuttavia, il piano si scontra con ostacoli giuridici e politici. L’articolo 41 del Trattato di Lisbona vieta l’uso del bilancio UE per scopi militari senza unanimità degli Stati membri, condizione difficilmente raggiungibile. Inoltre, paesi “frugali” come l’Olanda hanno già espresso opposizione, temendo un aumento del debito comune.
In Germania, intanto, il Bundestag ha approvato una modifica costituzionale per rimuovere i limiti di spesa militare, segnando un deciso cambio di rotta rispetto ai principi pacifisti del dopoguerra.
L’Impatto Economico e le Criticità del Fondo da 800 Miliardi
L’ambizioso fondo per il riarmo solleva dubbi sulla sua fattibilità economica:
– 650 miliardi proverrebbero da deroghe al Patto di Stabilità, esponendo gli Stati a rischi di rating e costi del debito più elevati;
– 150 miliardi sarebbero raccolti tramite prestiti di mercato, garantiti indirettamente dagli Stati membri, in contrasto con le regole del Mes;
– Mancanza di studi preliminari sull’impatto macroeconomico, con cifre percepite come “estratte a caso”.
Critici come l’economista Yanis Varoufakis sottolineano l’ironia di un’UE che, dopo aver imposto austerity alla Grecia, ora promuove deficit per armamenti. Il rischio è un effetto domino su inflazione e costo delle materie prime, già tensionate dalla transizione verde.
La Transizione Industriale: Auto Elettriche e Riconversioni Belliche
Parallelamente al riarmo, l’UE spinge per una transizione accelerata all’auto elettrica, con obiettivi ambiziosi: Stop ai motori endotermici dal 2035; Multe fino a 17 miliardi per i costruttori che superano i limiti di CO2 (94g/km); Investimenti in batterie e chip, nonostante il fallimento di progetti come Northvolt.
L’industria automobilistica europea sta virando verso la produzione bellica. Case come Volkswagen e Stellantis hanno annunciato riconversioni parziali degli stabilimenti, sostenute da incentivi governativi.
Una mossa che riflette la crescente militarizzazione delle politiche industriali, ma che pone interrogativi sulla sostenibilità di un’economia sempre più legata alla difesa.
Tra Narrativa e Realtà
Le iniziative dell’UE, dalla borsa della resilienza al riarmo, rivelano una strategia ibrida: da un lato, si cerca di preparare i cittadini a scenari apocalittici; dall’altro, si promuovono politiche economiche ad alto rischio, con scarsi controlli democratici.
Il tutto mentre Stati membri come Germania e Italia navigano in acque costituzionali inedite, tra deroghe e scontri sui trattati.
La domanda chiave rimane: queste misure sono davvero volte a proteggere i cittadini, o rappresentano un tentativo di normalizzare scelte geopolitiche controverse?
La risposta potrebbe definirsi nei prossimi anni, tra le pieghe di un’Europa sempre più divisa tra retorica della coesione e interessi nazionali.
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