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La rubrica Il Punto di Vista è a cura dello scrittore e giornalista Max del Papa e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.
LE RADICI TAGLIATE DELLA NOSTRA SOCIETÀ
Così Max Del Papa: “Non sono arrabbiato. L’incazzatura è uno stato d’animo passeggero, quasi vitale. Quella che provo oggi è una sensazione diversa, più fredda, più definitiva. Diciamo che ne ho piene le scatole in modo analitico. Non è una delusione, perché per essere delusi bisogna aver nutrito delle speranze, e chi osserva la realtà italiana con occhio disincantato ha smesso di sperare da tempo.
Guardatevi attorno. Guardate le facce che popolano i nostri telegiornali, soprattutto quelli di seconda fascia, quei politici raccattati dal nulla che sembrano usciti da una suburra o da un bordello morale.
Non c’è distinzione, non c’è nobiltà, c’è solo un immenso, indistinto vociare da trivio.
È inutile che ci illudiamo. Il mantra del “bisogna votare questo per non far vincere quell’altro” è la droga che ci somministrano per tenerci buoni.
La realtà è che sono tutti parte dello stesso spettacolo, una cosca unica. Prendete la kermesse di Atreju. Giorgia Meloni, che punta a durare fino al 2027 o forse al 2029 sognando il Quirinale, ha messo in piedi non un confronto politico, ma un Sanremo di regime.
Un consociativismo del potere dove si invita chiunque
Da Zuppi di Sant’Egidio (per coprirsi a sinistra) a Conte, dai giornalisti “nemici” come Travaglio (che critica ma poi va a cena) fino agli avversari più strenui.
È la logica del “volemose bene” romano elevata a strategia di Stato: non createmi problemi, assecondatemi, e ci sarà una fetta di torta per tutti.
È un sistema che fagocita tutto, destra e sinistra, cattolici e laici, trasformando il dibattito pubblico in una melassa indistinta dove l’unico obiettivo è la sopravvivenza della casta.
Ma se la politica è una farsa, la società civile non sta meglio. Anzi, riflette perfettamente questa decadenza. Prendiamo il caso di cronaca che ha tenuto banco ultimamente: la ragazza di Nardò, quella ventisettenne di origine ucraina sparita per quindici giorni. Genitori adottivi distrutti, un paese intero mobilitato, droni, carabinieri, l’angoscia di una tragedia imminente.
E poi? Poi “Tatiana” rispunta fuori, fresca come una rosa, ammettendo di essersi inventata tutto con la complicità di un amico, dicendo di essere “stanca”. Stanca di cosa? Di fare la vita da influencer con le unghie laccate?
In un mondo normale, la reazione sociale sarebbe l’oblio o una severa condanna morale. Invece, assistiamo alla costruzione mediatica del mostro.
I giornalisti, invece di dirle di andare a lavorare, la trattano con i guanti: “Tatiana sta riposando, sentiamo cosa ha da dire”. Si prepara il terreno per il solito circuito perverso: l’ospitata, l’intervista e infine, immancabile, il libro.
Diventerà un’eroina civile, parlerà di patriarcato, di Gaza, di ambiente, e non mi stupirei se finisse candidata da qualche parte. Perché il meccanismo è questo: il vizio, la menzogna e lo scandalo non sono più marchi d’infamia, ma trampolini di lancio curriculari.
Avevano già pronte le fiaccolate per la sua morte, dando la colpa al “patriarcato tossico”; ora che è viva, faranno le fiaccolate di giubilo. La sostanza non cambia: è tutto uno show.
Dall’altra parte della barricata, c’è chi cerca fughe impossibili, come la famosa “famiglia del bosco”. Si è scatenato un dibattito surreale su questi genitori che vivono senza riscaldamento e acqua corrente.
Difendo la loro libertà di essere eccentrici, tuttavia, non ergiamoli a modelli.
Ma anche qui, la burocrazia statale interviene non per aiutare, ma per normalizzare: pagate le tasse, mandate i figli a scuola per l’indottrinamento gender o europeista, rientrate nei ranghi.
E mentre noi ci perdiamo dietro a queste miserie, il mondo fuori ci osserva e ride. Donald Trump, con la sua rozzezza brutale, ha detto una verità che fa male: l’Europa sta cancellando la propria civiltà.
Lo dice lui e noi europei siamo come l’albero descritto dal cardinale Robert Sarah: abbiamo tagliato le nostre stesse radici e ora ci stupiamo se stiamo morendo.
Siamo affetti da un nichilismo profondo, un complesso di colpa occidentale che ci porta a disprezzare noi stessi e ad accogliere chiunque abbia una convinzione più forte della nostra, anche se fanatica.
Abbiamo sostituito Dio con la televisione, la preghiera con i like, la dignità con l’apparire.
Guardiamo con ammirazione involontaria gli islamici che pregano, non perché condividiamo la loro fede, ma perché noi non crediamo più a nulla. Siamo svuotati.
E il governo?
Il governo Meloni naviga a vista in questo disastro culturale ed economico. Si vantano di successi inesistenti, di un’industria che tira (quando in realtà è solo un rimbalzo fisiologico dopo il baratro del Covid), di bonus che sono elemosine.
La verità è che l’Italia è come il calabrone: vola per miracolo, grazie alla creatività disperata dei suoi imprenditori e nonostante i suoi governi, non grazie ad essi.
La politica della Meloni è velleitaria, fatta di immagine e priva di riforme strutturali. Non vuole scontrarsi con l’Unione Europea, continua a foraggiare l’elettrico e il green, segue l’agenda che dice di voler combattere. È un ventennio che aspettiamo, che “diamo tempo”, ma il tempo è scaduto.
Siamo un Paese che si sta inabissando, dove la “Grande Bellezza” è diventata una grottesca mascherata.
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