Clicca per guardare il video
Su Fabbrica della Comunicazione, la rubrica Viaggio nella Storia Contemporanea è a cura del giornalista e scrittore Franco Fracassi – già co-autore di una collana di 12 volumi dal titolo “Nei Secoli Brevi” – che commenta con Beatrice Silenzi fatti e personaggi degli ultimi 120 anni.
Gli anni 70 decennio di rivoluzione e repressione
Il decennio degli anni Settanta in Italia è ricordato come uno dei periodi più turbolenti e violenti della storia repubblicana.
Il termine “anni di piombo” evoca immagini di stragi, attentati, sequestri, terrorismo diffuso, ma anche di rivoluzioni sociali e conquiste civili.
È stato un periodo attraversato da una profonda dicotomia: da una parte l’emersione di una società civile più consapevole e combattiva, dall’altra la reazione repressiva dello Stato e l’infiltrazione di strutture eversive che hanno alimentato la violenza.
Sono stati anni in cui si è verificata, di fatto, una guerra civile a bassa intensità: oltre 3000 morti legati a eventi violenti, dalle stragi agli scontri a fuoco, ai sequestri.
Ma è stato anche il decennio in cui sono state conquistate importanti riforme sociali, come quelle nel campo del lavoro, dei diritti civili e dell’autodeterminazione individuale.
In questa cornice ambivalente, si inserisce un fenomeno di fondo: la volontà delle classi dirigenti, nazionali e internazionali, di arrestare un processo di trasformazione considerato eversivo rispetto allo status quo.
Il ruolo indotto della lotta armata
La lotta armata, lungi dall’essere solo una manifestazione spontanea di rivolta, è stata secondo numerosi studi e testimonianze un fenomeno indotto, orientato, in alcuni casi addirittura strumentalizzato.
La crescente paura tra le élite economiche e politiche di fronte a una società in fermento ha portato alla costruzione deliberata di un clima di terrore.
La letteratura storiografica oggi a disposizione documenta ampiamente la presenza di apparati statali e internazionali, tra cui servizi segreti e gruppi paramilitari, che hanno alimentato e in parte orchestrato le dinamiche terroristiche per distorcere e manipolare la percezione pubblica.
In quest’ottica, la violenza diventa un mezzo per rallentare la trasformazione democratica, per disorientare la società e riportare le istanze popolari entro i binari del controllo autoritario.
Strategie eversive e manipolazione dell’opinione pubblica
In ogni fase storica, i cittadini formulano desideri e richieste diverse in base ai contesti culturali e sociali che attraversano. Chi osteggia la democrazia, tuttavia, cerca sistematicamente di ostacolare questo processo: falsificare l’informazione, creare allarmi artificiali, promuovere narrazioni deviate.
Negli anni Settanta, questi tentativi si sono concretizzati in numerosi strumenti di destabilizzazione.
Uno degli esempi più discussi è l’operazione “Blue Moon”, con la quale lo Stato avrebbe deliberatamente promosso la diffusione dell’eroina tra i giovani, al fine di fiaccare le spinte rivoluzionarie.
A ciò si aggiunge il terrorismo, non solo quello dichiaratamente politico, ma anche quello criminale, fatto di rapine, sequestri, omicidi, utile a mantenere un costante stato di paura e allerta.
La stagione delle bombe: il 1969 come spartiacque
Il 1969 rappresenta l’anno spartiacque tra il fermento del decennio precedente e la violenza sistematica degli anni 70.
In questo anno si registra un picco di conflitti sociali, manifestazioni studentesche e operaie, ma anche l’inizio di una lunga stagione di attentati.
Il culmine arriva il 12 dicembre 1969 con la strage di Piazza Fontana, quando un ordigno collocato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano uccide 17 persone e ne ferisce centinaia.
Questo evento sancisce l’ingresso ufficiale dell’Italia nella cosiddetta “strategia della tensione”, cioè un piano volto a diffondere paura e giustificare interventi repressivi in nome della sicurezza nazionale.
Le Brigate Rosse e la deriva terroristica
Il fenomeno delle Brigate Rosse si inserisce in questo contesto già esplosivo.
Nella prima fase, guidata da Renato Curcio e Alberto Franceschini, il movimento era connotato da un radicalismo ideologico, ma non ancora omicida.
Le azioni erano dimostrative, propagandistiche, dirette più a colpire simbolicamente il potere che a eliminarne fisicamente i rappresentanti.
Tutto cambia con l’arresto dei fondatori e l’ascesa al vertice di Mario Moretti.
Figura controversa, Moretti presenta legami ambigui: secondo molte fonti, è un neofascista infiltrato, coinvolto in traffici d’armi e collegato alla CIA.
L’ascesa di Moretti segna l’inizio della fase più cruenta delle Brigate Rosse, che passano dagli attentati simbolici all’assassinio sistematico.
Sotto la sua guida, l’organizzazione si trasforma in una struttura terroristica internazionale, coordinata con gruppi come la Rote Armee Fraktion tedesca e supportata da reti segrete che ne garantivano protezione e appoggio logistico.
Le Brigate Rosse, dunque, pur trovando adesioni genuine tra giovani rivoluzionari, sono state in larga parte guidate da figure con interessi ben diversi dalla liberazione sociale.
Il sequestro Moro: un’operazione internazionale
Il caso più emblematico di questa strategia è il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro.
Il presidente della Democrazia Cristiana, fautore del compromesso storico tra DC e PCI, rappresentava per molti un pericolo.
La sua volontà di includere il Partito Comunista nel governo minava l’equilibrio geopolitico della Guerra Fredda. Era necessario fermarlo.
Secondo molte ricostruzioni, il sequestro Moro fu un’operazione complessa, condotta non solo dalle Brigate Rosse ma da una rete che coinvolgeva CIA, KGB, Stasi, servizi bulgari, loggia P2 e ambienti mafiosi.
Moro non andava semplicemente eliminato: andava delegittimato.
I 55 giorni di prigionia furono usati per distruggere la sua immagine pubblica e politica, attraverso la censura e la manipolazione delle sue lettere.
La regia occulta: loggia P2, servizi segreti e mafia
L’unità di crisi istituita presso il Ministero dell’Interno per gestire il sequestro era interamente composta da membri della loggia massonica P2, inclusi psichiatri incaricati di screditare Moro, affermando che le sue lettere erano il frutto di una mente disturbata.
Uno dei personaggi centrali di questa struttura era lo psichiatra Francesco Ferracuti, che scrisse esplicitamente che, se Moro fosse stato liberato, avrebbe dovuto essere impedito di comunicare con il mondo esterno. In altre parole, si temeva ciò che Moro poteva rivelare.
Alla fine, fu deciso che doveva morire. I tentativi di salvataggio furono nulli o solo formali. L’unico vero tentativo fu quello del deputato DC Galloni, che si rivolse, incredibilmente, alla mafia.
Si chiese ai boss di Cosa Nostra, tramite la Banda della Magliana, di rintracciare Moro.
Un dettaglio inquietante: il bar davanti al quale avvenne il sequestro in via Fani era stato acquistato un anno prima dalla CIA. Era anche il punto di ritrovo mattutino dei capi della Banda della Magliana.
Via Gradoli e la prigione di Stato
La prigione di Moro, secondo numerosi indizi, era situata a Roma, in via Gradoli, una strada senza uscita facilmente controllabile.
Quando fu perquisita, fu dichiarata vuota. Eppure, successivamente si scoprì che era una base operativa delle Brigate Rosse.
Nessuno spiegò come fosse sfuggita alle ricerche. L’episodio contribuì a rafforzare il sospetto che il sequestro Moro non fosse solo una tragica deviazione, ma una regia occulta dello Stato parallelo.
Il bilancio di una stagione interrotta
Il sequestro Moro segnò la fine simbolica della possibilità di una trasformazione pacifica e inclusiva del sistema italiano. Dopo la sua morte, il compromesso storico fu archiviato, e con esso l’idea di un’Italia realmente pluralista e indipendente.
Le forze che avevano orchestrato il clima di terrore ottennero il loro obiettivo: riportare il paese entro i margini del controllo geopolitico e dell’ordine economico stabilito.
Gli anni Settanta rappresentano dunque un laboratorio di ingegneria politica e sociale: una rivoluzione interrotta non solo con le armi, ma con la manipolazione dell’opinione pubblica, l’infiltrazione nei movimenti, l’uso del crimine organizzato come braccio operativo delle istituzioni.
Il video pubblicato è di proprietà di (o concesso da terzi in uso a) FABBRICA DELLA COMUNICAZIONE.
E’ vietato scaricare, modificare e ridistribuire il video se non PREVIA autorizzazione scritta e richiesta a info@fcom.it.