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La rubrica L’Altra Domenica è a cura dello scrittrice e giornalista Enrica Perucchietti e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.
ELON MUSK SUL LAVORO: L’A.I. CANCELLA TUTTO
“L’intelligenza artificiale soppianterà tutti i posti di lavoro”. La dichiarazione, netta e senza appello, non proviene da un teorico apocalittico, ma da Elon Musk, uno degli architetti principali di questo futuro imminente.
Sebbene cerchi di edulcorare la previsione con una visione utopistica di un mondo in cui nessuno sarà più costretto a lavorare, la realtà che si cela dietro le sue parole è molto più complessa e allarmante.
La Quarta Rivoluzione Industriale è in pieno svolgimento
E le sue conseguenze, a lungo teorizzate, stanno ora bussando con forza alla porta della nostra quotidianità, minacciando di scardinare le fondamenta stesse della nostra società.
Il discorso di Musk non è nuovo.
Da decenni, nella Silicon Valley si lavora con la consapevolezza che l’automazione e l’IA avrebbero “disboscato” la forza lavoro umana.
Le stime, già superate, parlavano di una potenziale automatizzazione di quasi il 50 per cento delle professioni esistenti.
L’errore comune è stato pensare che questo processo avrebbe riguardato solo i lavori manuali, ripetitivi o pericolosi.
La realtà, come dimostra il recente caso di Amazon, è drasticamente diversa. Il colosso dell’e-commerce non sta solo automatizzando 600 mila posti nella logistica, ma ha avviato un taglio di decine di migliaia di posti di lavoro che colpiscono prevalentemente i cosiddetti “colletti bianchi”: ruoli dirigenziali, amministrativi e creativi che fino a ieri si credevano al sicuro.
Questo segna un punto di svolta: l’IA non è più solo un sostituto del muscolo, ma anche della mente.
Di fronte a questo scenario di disoccupazione di massa, emerge con insistenza la proposta del reddito universale di base (UBI), un sussidio garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro condizione lavorativa.
Promossa da figure come Musk e Sam Altman (CEO di OpenAI), e in passato sostenuta in Italia da movimenti come quello di Casaleggio e Grillo, questa idea viene presentata come la panacea sociale che permetterà all’umanità di godere dei frutti del progresso senza la necessità di un impiego.
Tuttavia, grattando la superficie di questa promessa, emergono dilemmi profondi e inquietanti.
Il primo, e più evidente, è di natura economica. Come potranno gli Stati, già in affanno nel garantire servizi essenziali come la sanità e nel sostenere sistemi pensionistici vacillanti, farsi carico di un esborso di tale portata?
La questione diventa ancora più spinosa se si considera il comportamento fiscale delle stesse multinazionali che promuovono questo futuro.
Un recente dossier ha rivelato come, solo in Italia, le grandi corporation di Big Tech e Big Pharma abbiano evaso 22 miliardi di dollari negli ultimi sei anni, sfruttando un sistema di paradisi fiscali europei (Lussemburgo, Irlanda, Paesi Bassi) che crea una concorrenza sleale verso le piccole e medie imprese locali.
È lecito chiedersi con quale credibilità questi “presunti benefattori”, che sottraggono immense risorse alle casse pubbliche, possano poi proporsi come i garanti della sussistenza di miliardi di persone.
Il secondo dilemma è legato al controllo. Un reddito universale erogato da governi o, peggio, da entità private, potrebbe facilmente trasformarsi da diritto a strumento di ricatto.
L’accesso a questo sostentamento potrebbe essere vincolato a “precondizioni essenziali”: l’adesione a campagne vaccinali, il rispetto di determinate norme comportamentali, o il possesso di un passaporto digitale.
In un attimo, il reddito che doveva liberare l’uomo dal lavoro si trasformerebbe in un guinzaglio digitale, sospendibile al primo segno di dissenso.
Si aprirebbe la porta a un sistema di controllo sociale capillare, molto lontano dall’utopia di libertà promessa.
Nel frattempo, il sistema educativo sembra navigare a vista in questa tempesta. Prestigiosi atenei italiani lanciano corsi di laurea incentrati sull’intelligenza artificiale, presentandoli come la via maestra per i “lavori del futuro”.
Ma sorge un paradosso: mentre uno studente impiega cinque anni per diventare un ingegnere esperto di IA, l’IA generativa evolve a una velocità tale da poter presto modificare i propri codici in autonomia, rendendo superfluo un numero massiccio di specialisti umani.
Si rischia di formare una generazione di esperti per un mondo del lavoro che, al termine dei loro studi, sarà già stato superato dalla tecnologia stessa.
Di fronte a chi liquida queste preoccupazioni con il classico paragone storico (“anche Henry Ford ha soppiantato i carretti a cavallo”), bisogna essere chiari: la rivoluzione attuale non ha precedenti. Non si tratta di sostituire una tecnologia con un’altra, ma di rimpiazzare l’agente umano in quasi ogni campo dell’intelletto e della produzione.
È una trasformazione che tocca l’essenza stessa del ruolo dell’uomo nel mondo.
La frustrazione più grande è l’assordante silenzio delle istituzioni. Mentre le grandi aziende procedono a licenziamenti di massa e Paesi come la Grecia approvano giornate lavorative da 13 ore in un tragico ritorno a condizioni pre-industriali, manca un dibattito serio, trasversale e coraggioso su come governare questa transizione.
Le dichiarazioni estemporanee di Elon Musk fungono da schiaffo, un brusco risveglio che però, una volta esaurito il suo eco mediatico, lascia di nuovo spazio a una quiete preoccupante.
Non si tratta di fare terrorismo psicologico, ma di guardare in faccia la realtà: siamo a un bivio epocale e continuare a ignorarlo, affidandoci alle promesse zuccherate di chi ha tutto l’interesse a plasmare il futuro a proprio vantaggio, è la strategia più pericolosa di tutte.
La soluzione non è in mano a un singolo individuo, ma deve nascere da una presa di coscienza collettiva e da una discussione pubblica che non può più essere rimandata.
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