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La rubrica L’Altra Domenica è a cura dello scrittrice e giornalista Enrica Perucchietti e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.
EUGENETICA E RISCHI. START UP PER FIGLI SU MISURA
Una startup nata da pochi mesi a San Francisco sta scuotendo il dibattito bioetico globale, puntando a creare un essere umano geneticamente modificato, un neonato progettato ex novo.
Questo scenario, che fino a poco tempo fa sembrava confinato alle pagine di romanzi distopici come “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley o alla trama di film come “Gattaca”, sta assumendo i contorni di una controversa realtà.
La startup in questione, chiamata Preventive, ha già raccolto 30 milioni di dollari per portare avanti le sue ricerche nel campo dell’editing genetico, in particolare tramite la tecnologia CRISPR, con l’obiettivo dichiarato di prevenire le malattie ereditarie.
Fondata nel 2025 e operante, quasi in segreto, da un ufficio di coworking,
Preventive vanta tra i suoi finanziatori nomi di spicco della Silicon Valley, tra cui Sam Altman, CEO di OpenAI, e Brian Armstrong, co-fondatore di Coinbase.
Il loro coinvolgimento segnala una crescente convergenza tra le immense fortune accumulate nel settore tecnologico e le ambizioni più radicali della biotecnologia.
L’obiettivo ufficiale è nobile: eliminare alla radice patologie devastanti. Tuttavia, dietro questa facciata si cela il timore, espresso da molti, che la vera meta sia la creazione di “bambini su misura”, esseri umani “perfetti” le cui caratteristiche fisiche, e forse anche cognitive, possano essere scelte come optional.
Questo progetto riapre ferite mai del tutto rimarginate e riaccende il dibattito sull’eugenetica, una parola che evoca gli orrori della Seconda Guerra Mondiale.
Come sottolineato nel corso di una discussione sulla rubrica “Fabrica della Comunicazione”, si sta facendo strada una forma di “eugenismo dolce”, apparentemente democratico e persino amorevole, che nasconde le stesse derive discriminatorie del passato.
Il pioniere della biotecnologia Jacques Testart, padre scientifico della seconda bambina in provetta in Francia, ha da tempo messo in guardia contro un’eugenetica “invisibile e democratica”, favorita da un uso massiccio delle tecniche di procreazione artificiale slegate dalla loro funzione originaria di rimedio alla sterilità.
Il terreno per queste ricerche è stato, in un certo senso, preparato da eventi precedenti. Qualche anno fa, il mondo scientifico fu scosso dalla notizia che lo scienziato cinese He Jiankui aveva modificato il DNA di due gemelline per renderle immuni al virus dell’HIV.
L’annuncio provocò un’ondata di sdegno globale nella comunità scientifica. He Jiankui fu arrestato e condannato a tre anni di prigione per pratica medica illegale, avendo agito al di fuori di ogni protocollo etico e normativo.
Uscito di prigione, ha manifestato l’intenzione di continuare le sue ricerche, a testimonianza di come, nonostante i divieti e le condanne, la spinta verso la manipolazione genetica dell’essere umano sia tutt’altro che sopita.
A rendere il quadro ancora più complesso è l’apparente favore con cui una parte dell’opinione pubblica guarderebbe a queste tecnologie.
Durante la trasmissione radiofonica è stato citato un sondaggio, attribuito a Radio 24, secondo cui il 70% degli italiani sarebbe favorevole alla creazione di un essere umano in provetta geneticamente modificato per eliminare le malattie.
Nonostante ripetute ricerche, non è stato possibile rintracciare questo specifico sondaggio. Tuttavia, altri studi, come un rapporto del Censis, indicano che una maggioranza di italiani (il 66%) è favorevole allo sviluppo della ricerca sull’ingegneria genetica per correggere geni che provocano malattie.
Questa apparente accettazione si scontra con le profonde implicazioni etiche e sociali.
La possibilità di “migliorare” il corredo genetico dei nascituri creerebbe inevitabilmente una società divisa in caste: da una parte gli esseri umani “potenziati”, figli di quelle élite miliardarie che possono permettersi tali procedure, e dall’altra i “naturali”.
Figure come Elon Musk, che si è espresso a favore dell’editing genetico e avrebbe fatto ricorso a screening poligenici per i propri figli, e lo stesso Sam Altman, contribuiscono a plasmare un’opinione pubblica spesso inconsapevole dei rischi. L’aspirazione a un figlio sano, comprensibile in ogni genitore, rischia di diventare il cavallo di Troia per introdurre una logica mercantile nella procreazione, dove il figlio non è più un dono ma un prodotto da fabbricare secondo un design specifico.
Le distopie letterarie e cinematografiche, da “Il mondo nuovo” a “Gattaca”, ci hanno messo in guardia su un futuro in cui il valore di un individuo è determinato dal suo profilo genetico.
In “Gattaca”, il protagonista, un “non valido” nato dall’amore e non dalla selezione genetica, riesce a realizzare il suo sogno solo spacciandosi per un “valido”.
La sua vittoria finale, seppur segreta, offre un barlume di speranza, un’affermazione dell’umanità contro la programmazione. Ma la realtà, avvertono gli osservatori più critici, potrebbe essere molto meno consolatoria.
Ci stiamo forse assuefacendo a un’idea di perfezione artificiale, modellata dai filtri dei social media e da un’incessante spinta al potenziamento fisico?
La ricerca di un’umanità senza fragilità e imperfezioni rischia di farci smarrire il senso stesso dell’essere umano.
La vera sfida non è tecnologica, ma antropologica: decidere che tipo di umanità vogliamo essere e se siamo disposti a barattare la nostra fragile e imperfetta natura in cambio di una perfezione programmata che potrebbe rivelarsi la più inquietante delle distopie.
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