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Su Fabbrica della Comunicazione, la rubrica Approfondimento Stoico è a cura dello scrittore ed antifilosofo Michele Putrino e Beatrice Silenzi, direttore responsabile.
La morte. Un concetto talmente ostracizzato che è stato sostituito da un eufemismo: “fine vita”, nel tentativo di esorcizzare una paura che, paradossalmente, domina e deforma la nostra esistenza.
Una società regredita che teme le parole
Viviamo in una società regredita a uno “stato infantile”. Come i bambini che si tappano le orecchie per non sentire ciò che non vogliono, gli adulti moderni evitano la parola “morte”, temendola quasi più della morte stessa. Questo rifiuto non è solo linguistico ma sintomatico di un’incapacità più profonda di affrontare le difficoltà e le verità scomode della vita.
La fuga dalla realtà porta a un’esistenza superficiale, in cui si cerca rifugio in distrazioni continue e piaceri effimeri, perdendo di vista il senso della misura e il valore del tempo che abbiamo a disposizione.
L’antidoto stoico: Memento Mori
In netto contrasto con la visione moderna, la filosofia stoica pone il concetto di morte al centro della vita. Il celebre motto “Memento Mori” (Ricordati che devi morire) non è un invito alla morbosità, ma uno strumento fondamentale per vivere pienamente.
Avere la consapevolezza della propria finitezza permette di dare il giusto peso alle cose, di non preoccuparsi per le inezie e di vivere ogni momento con maggiore intensità e significato.
La morte, per gli stoici, non è un fallimento da nascondere, ma l’orizzonte che dà forma e valore a ogni singola azione.
Il paradosso della spettacolarizzazione
Un altro punto cruciale è il paradosso moderno: mentre si evita di nominare la morte, la si spettacolarizza in modo ossessivo attraverso i media.
Dalla cronaca nera ai reality show, la sofferenza e la tragedia altrui diventano intrattenimento.
Putrino interpreta questo fenomeno come una perversione di un istinto naturale. Poiché la necessità di confrontarsi con la mortalità viene repressa, essa riemerge in una forma distorta e “sadica”: osserviamo la morte degli altri da una distanza di sicurezza, protetti da uno schermo, senza alcun coinvolgimento emotivo o crescita personale.
Ma come si può, concretamente, adottare un approccio stoico? La via passa attraverso l’esercizio costante delle quattro virtù cardinali. In particolare, si sofferma su due di esse: la Temperanza e la Prudenza.
La prima (Sophrosyne) è la capacità di gestire i propri istinti e le proprie pulsioni (fame, aggressività, paura).
Un esercizio pratico è il digiuno: allenandosi a controllare l’impulso primordiale della fame, si impara a dominare anche altre pulsioni, inclusa la paura della morte.
La seconda (Phronesis) è intesa non come semplice cautela, ma come la capacità di vedere la logica e la ragione (logos) dietro gli eventi.
Questo significa comprendere che tutto in natura ha un inizio e una fine.
Esercitare la prudenza vuol dire accettare questo ciclo, sia per un evento, sia per una relazione, sia per la vita stessa.
Meditare sulla fine delle cose non è pessimistico, ma realistico e liberatorio.
La via stoica non offre una consolazione, ma uno strumento pratico e potente per trasformare la consapevolezza della fine in un motore per una vita più coraggiosa, saggia e significativa.
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