di GIORGIO PANDINI

Era il 1827. Si spegneva all’età di 56 anni uno dei più grandi compositori della storia della musica: Ludwig Van Beethoven.
Una breve esistenza spesa per la musica e passioni immortali, ma costellata da diversi problemi fisici che lo hanno accompagnato fino alla sua scomparsa.

In vita, nonostante avesse consultato parecchi medici, nessuno era stato in grado di diagnosticare la causa dei suoi numerosi malesseri, soprattutto gastrointestinali, oltre a problemi di vista e quella sordità – a tutti nota – che iniziò a manifestarsi quando non aveva ancora compiuto 30 anni.

Egli stesso prima di morire esprimeva il desiderio che in futuro qualcuno riuscisse a spiegare il motivo delle accese problematiche fisiche e, negli anni, sono stati versati fiumi di inchiostro per risolvere l’”enigma Beethoven” dal punto di vista clinico.

Ora sembra che alcuni ricercatori della Mayo Clinic e di Harvard – con una pubblicazione sulla rivista Clinical Chemistry – ci siano riusciti. 

Come? Utilizzando due ciocche di capelli del compositore – messe a disposizione da un uomo d’affari australiano e collezionista di cimeli Beethoveniani – grazie alle quali gli studiosi, effettuando una spettrometria di massa, ne hanno analizzato la composizione chimica.

Il risultato è stato sorprendente!
Nei capelli sono state ritrovate tracce di piombo (tra i 258 e i 380 microgrammi di per grammo) ben oltre il livello di sicurezza attuale, di soli 4 microgrammi.
Le analisi sono chiare: avvelenamento da piombo, sebbene vi siano anche livelli anomali di arsenico e mercurio.

Gli autori dello studio spiegano che “livelli simili di piombo nel sangue sono associati comunemente a problemi gastrointestinali e renali, alla riduzione dell’udito, ma non sono, da soli, sufficientemente elevati da rappresentare una possibile causa di morte”.

Accertato l’avvelenamento, ci si chiede come egli possa aver immagazzinato questa grande quantità di piombo. 

Presto detto.
L’indiziato numero uno è il vino!
Il compositore, infatti, era un gran bevitore – con un consumo giornaliero dell’ordine di una bottiglia – con l’abitudine, molto comune al tempo, di addolcire la bevanda con il diacetato di piombo, sostanza estremamente tossica che in passato veniva usata come dolcificante. 

Altre molecole di piombo sarebbero state immagazzinate nell’organismo attraverso i bicchieri che, all’epoca, contenevano questa sostanza come materiale di produzione.

I ricercatori sospettano inoltre che il Maestro soffrisse di epatite B, malattia per la quale Beethoven presentava diversi fattori genetici di rischio – come riscontrato da altre analisi sulle ciocche – che, associati all’elevato consumo di alcolici gli avrebbero provocato la cirrosi epatica che lo portò alla morte.

Enigma risolto, dunque, con l’ennesima dimostrazione che una vita fatta di eccessi presenta sempre un conto salato da pagare.