di GIORGIO PANDINI
Non chiamiamoli semplici giocattoli.
I Labubu, creature dalle orecchie smisurate e un sorriso irriverente dai denti appuntiti, hanno compiuto il salto definitivo: da fenomeno di collezionismo , sono diventati un vero e proprio asset di lusso, battuto in case d’asta al pari di opere d’arte moderna. Quello che era iniziato come un vezzo pop, un charm da appendere alla borsa, si è trasformato in un’ossessione globale con valutazioni che sfidano ogni logica.
La consacrazione è avvenuta tra le pareti insospettabili della Yongle International di Pechino – casa d’aste nota per gioielli e arte contemporanea – in cui 48 lotti dedicati esclusivamente ai mostriciattoli creati dall’artista Kasing Lung hanno catalizzato l’attenzione mondiale.
Se esemplari rari hanno raggiunto quotazioni di migliaia di euro, a lasciare senza fiato è stato un pezzo unico: un Labubu turchese alto 131 centimetri, aggiudicato per la cifra sbalorditiva di 130 mila euro.
Questa vertigine finanziaria non è un caso isolato. Persino un artista del calibro di Pharrell Williams ha curato un’asta esclusiva, dove i Labubu indossavano abiti disegnati dal brand di culto giapponese Sacai.
Partendo da una base di 500 euro, i collezionisti più agguerriti hanno spinto le offerte fino a 3 mila euro per accaparrarsi queste edizioni limitate, sancendo l’ingresso definitivo di Labubu nell’olimpo dove moda, arte e finanza si incontrano.
Come si è arrivati a questo punto?
La traiettoria di questa febbre planetaria poggia su due pilastri orchestrati magistralmente dal gigante del collezionismo Pop Mart.
Il primo è l’effetto a catena generato proprio dalle celebrità.
Quando Lisa delle Blackpink ha condiviso la sua passione per queste creature, ha innescato una scintilla.
Ma è stata la loro apparizione costante al braccio di star come Dua Lipa e Rihanna, o tra le mani di David Beckham, a trasformare l’accessorio di nicchia in uno status symbol universale.
Il secondo motore è invece un meccanismo psicologico tanto semplice quanto potente: la “blind box”, ovvero l’impossibilità di scegliere il modello scatena una caccia al tesoro, un brivido alimentato dalla speranza di trovare la variante rara o segreta.
Un rituale che trova la sua massima espressione sui social media, dove migliaia di video di “unboxing” amplificano la frenesia, creando una narrazione collettiva di attesa e sorpresa che si autoalimenta.
E come ogni fenomeno di massa, la Labubu mania proietta un’ombra lunga su tutto: la scarsità a singhiozzo del prodotto, esaurito in pochi istanti sui canali ufficiali, ha generato un fiorente e spietato mercato parallelo e, mentre piattaforme di second-hand registrano impennate di ricerche, la CNN ha documentato un allarmante traffico di contrabbando, con centinaia di pezzi sequestrati dalle dogane cinesi.
La caccia si è fatta così serrata che, persino nella terra natia cinese, procurarseli legalmente è un’impresa.
A tutto ciò si aggiunge poi la minaccia digitale: esperti di cybersecurity come Kaspersky mettono in guardia contro una proliferazione di siti-truffa che, imitando i rivenditori ufficiali, sfruttano l’urgenza dei fan per sottrarre dati sensibili.
La parabola di Labubu, da personaggio secondario dell’universo “The Monsters” di Kasing Lung a icona globale, è una lezione magistrale di marketing del XXI secolo.
Dimostra come un oggetto, attraverso una strategia mirata, l’endorsement delle celebrità e la leva psicologica della scarsità, possa trascendere la sua natura materiale per diventare un simbolo complesso: un talismano per la Generazione Z, un investimento per collezionisti facoltosi, lo specchio di un desiderio collettivo tanto potente quanto imprevedibile.