;

Clicca per guardare il video

Su Fabbrica della Comunicazione, la rubrica della domenica mattina a cura di Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile – con Enrica Perucchietti si chiama L’Altra Domenica.

Censura, emergenza e controllo: il volto mutevole della democrazia contemporanea

In un’epoca segnata da continui scossoni geopolitici, crisi sanitarie e cambiamenti sociali accelerati, il concetto di democrazia sembra attraversare una profonda metamorfosi.
La narrazione dominante si affida sempre più frequentemente al concetto di “emergenza” per giustificare misure straordinarie, molte delle quali rischiano di erodere le fondamenta stesse dei diritti civili.
Sotto questo profilo, la proposta di uno “scudo democratico”, avanzata in Italia da esponenti del partito Azione come Carlo Calenda e il senatore Marco Lombardo, solleva preoccupazioni significative.
Il modello, ispirato a un controverso precedente verificatosi in Romania, mostra come la tutela della democrazia possa paradossalmente trasformarsi nel suo esatto contrario.

Il caso Romania: un precedente inquietante

Il riferimento alla Romania non è casuale. In quel contesto, si è verificata una situazione allarmante: le elezioni sono state sospese, e un candidato, Georgescu, è stato non solo fermato ma anche impedito a ricandidarsi.
Un atto che ha destato forti critiche per la sua evidente lesione del principio di rappresentanza democratica.
Questo episodio è stato letto da molti osservatori come un vero e proprio golpe, una forzatura istituzionale che compromette il diritto dei cittadini a scegliere liberamente i propri rappresentanti.

L’Italia, osservando questa dinamica, sembra intenzionata a replicare un modello simile attraverso l’introduzione dello “scudo democratico”, una proposta legislativa che si prefigge di tutelare il sistema politico da presunte ingerenze esterne, come quelle attribuite alla Russia. Le modalità con cui ciò verrebbe fatto – tra cui l’annullamento delle elezioni in determinati casi – sollevano dubbi su quanto effettivamente resterebbe di democratico in un simile impianto normativo.

La retorica dell’emergenza come strumento di controllo

Uno dei pilastri su cui si fonda questo nuovo approccio è la narrazione emergenziale.
L’emergenza, per definizione, giustifica l’adozione di misure straordinarie e il superamento delle normali procedure democratiche.
Si è visto con la pandemia da Covid-19, durante la quale la popolazione è stata chiamata a rinunciare a libertà fondamentali in nome della salute pubblica.
Ora, il nemico è mutato: dall’invisibile virus al più concreto “pericolo russo”, passando per la questione energetica e la minaccia della disinformazione.

Questo schema ricorrente, che consiste nel generare un senso costante di pericolo, consente ai governi e alle istituzioni sovranazionali di proporre e legittimare misure altrimenti inaccettabili.
In questo contesto, la disinformazione viene utilizzata come cavallo di Troia per introdurre forme di censura sempre più invasive, affidate a “fact checker” e organismi di controllo che operano spesso secondo criteri opachi e non trasparenti.

L’inquisizione digitale e la censura sistematica

L’ultimo decennio ha visto un’esplosione dell’informazione digitale. I social media e le piattaforme online hanno aperto nuove frontiere alla libertà di espressione, ma hanno anche esposto i cittadini a una mole ingente di contenuti difficilmente verificabili.
La risposta istituzionale è stata quella di affidarsi a forme di “inquisizione digitale”, in cui ciò che non rientra nella narrazione dominante viene sistematicamente etichettato come “fake news”.

Il problema, tuttavia, non risiede solo nella lotta alla disinformazione in sé, quanto nel fatto che essa diventa selettiva.
Molte notizie reali ma scomode vengono oscurate, mentre il mainstream continua a operare secondo linee editoriali spesso influenzate da agende politiche e interessi economici.
Questa forma di censura non colpisce solo i contenuti, ma anche i canali attraverso cui tali contenuti vengono veicolati, andando a limitare in modo sostanziale il pluralismo informativo.

Riarmo e contraddizioni ecologiche

Un altro tema che solleva perplessità è quello del riarmo. L’Unione Europea, nell’ottica di rafforzare la propria sicurezza, ha varato un piano di 800 miliardi di euro per il riarmo.
Questa scelta appare in netta contraddizione con gli impegni assunti in materia ambientale e con la cosiddetta transizione verde.
Da un lato si parla di riduzione delle emissioni di CO2, di mobilità sostenibile, di energia pulita; dall’altro, si finanziano apparati bellici altamente inquinanti.

Questa evidente incoerenza non viene affrontata apertamente nel dibattito pubblico. Al contrario, la retorica ufficiale tende a dipingere il riarmo come una forma di “pacificazione” e la guerra come un male necessario per garantire la pace.
Un’inversione semantica che richiama fortemente le distorsioni linguistiche tipiche dell’universo orwelliano, dove la guerra è pace, la libertà è schiavitù, e l’ignoranza è forza.

L’euro digitale e la fine dell’anonimato

All’interno di questa cornice si inserisce anche la proposta dell’euro digitale, una moneta centralizzata gestita direttamente dalla Banca Centrale Europea.
Contrariamente a quanto molti cittadini potrebbero pensare, l’euro digitale non è una semplice alternativa al contante o ai pagamenti elettronici esistenti.
Si tratta di uno strumento radicalmente nuovo, capace di introdurre forme di controllo senza precedenti sulla vita economica e sociale delle persone.

La presidente della BCE, Christine Lagarde, ha recentemente dichiarato che il progetto mira a tutelare la privacy ma non l’anonimato.
Ciò implica che tutte le transazioni effettuate con l’euro digitale sarebbero tracciabili e potenzialmente controllabili. La moneta potrebbe addirittura essere “programmabile”: a scadenza, a utilizzo vincolato, o limitata in base al tipo di acquisto. Si apre così la strada a una censura finanziaria sistemica, che potrebbe impedire, ad esempio, di finanziare organizzazioni ritenute scomode o di acquistare determinati beni.

Il precedente del de-banking

Una forma preliminare di questo controllo è già emersa con il cosiddetto “de-banking”: la chiusura unilaterale dei conti bancari a soggetti ritenuti scomodi o dissidenti.
È un fenomeno che ha colpito anche organizzazioni e media indipendenti, come nel caso di Visione TV, mostrando come il sistema bancario possa essere utilizzato come strumento di repressione politica e ideologica.

Con l’introduzione di una moneta digitale centralizzata, questi episodi potrebbero diventare la norma.
La possibilità di “spegnere” un cittadino con un semplice clic, impedendogli l’accesso ai propri fondi, rappresenta una minaccia tangibile alla libertà individuale. È una forma di punizione preventiva che si fonda non su atti, ma su opinioni e dissenso.

L’indifferenza istituzionale al dissenso popolare

Una delle dinamiche più inquietanti in questo scenario è l’assoluta indifferenza delle istituzioni rispetto alla volontà popolare. Le decisioni vengono prese in modo centralizzato, senza consultazioni, senza dibattiti parlamentari adeguati e soprattutto senza che i cittadini possano esprimersi.
Il progetto del riarmo europeo è stato approvato senza discussione pubblica, mentre il dibattito sull’euro digitale procede in sordina, spesso con informazioni frammentarie o fuorvianti.

Nel contesto italiano, questa tendenza si somma a una crescente disillusione nei confronti della rappresentanza politica.
I partiti spesso tradiscono le promesse elettorali e si mostrano incapaci di rappresentare realmente le istanze del corpo elettorale.
Il risultato è un’ulteriore erosione del legame tra cittadini e istituzioni, con conseguente aumento dell’apatia e del disimpegno civico.

La Costituzione come ostacolo aggirabile

Un altro nodo critico riguarda il rapporto tra queste nuove politiche e la Costituzione. La Carta fondamentale italiana, ad esempio, vieta esplicitamente il coinvolgimento diretto dello Stato in conflitti armati che non siano difensivi.
Con il pretesto della solidarietà atlantica o dell’emergenza geopolitica, si continua a sostenere l’invio di armi, l’aumento delle spese militari e il rafforzamento dell’apparato bellico.

Anche in questo caso, la narrazione è tutta costruita sulla base della minaccia esterna: il nemico è sempre alle porte, e bisogna armarsi per difendersi.
Ma dov’è, concretamente, questa minaccia? È una costruzione propagandistica che serve a mantenere lo stato di allerta permanente, utile a giustificare qualsiasi misura, per quanto lesiva dei principi costituzionali.

La Finestra di Overton e l’accettazione del controllo

Tutti questi fenomeni rientrano in un più ampio processo di normalizzazione, che può essere spiegato attraverso il concetto della “finestra di Overton”.
Si tratta di una teoria secondo la quale le idee considerate impensabili diventano progressivamente accettabili attraverso una lenta ma costante esposizione e discussione.
In pratica, si sposta il perimetro di ciò che è considerato normale, rendendo accettabili provvedimenti che in passato sarebbero stati giudicati inaccettabili o addirittura pericolosi.

Negli ultimi anni, questo spostamento ha subito un’accelerazione. La pandemia ha rappresentato un banco di prova per molte delle nuove strategie di controllo.
E ora, nel nome della sicurezza e della lotta alla disinformazione, si tenta di consolidare un modello autoritario travestito da tutela democratica. In questa “Europa orwelliana”, le contraddizioni diventano la norma, la sorveglianza viene spacciata per protezione, e l’uniformità per coesione sociale.

Il video pubblicato è di proprietà di (o concesso da terzi in uso a) FABBRICA DELLA COMUNICAZIONE.
E’ vietato scaricare, modificare e ridistribuire il video se non PREVIA autorizzazione scritta e richiesta a info@fcom.it.