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Su Fabbrica della Comunicazione la rubrica Spoiler – podcast è cura di Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile.

“Metropolis” è un film muto del 1927, diretto dal visionario Fritz Lang, che si erge come un pilastro della storia del cinema. Scritto da Thea von Harbou, all’epoca moglie del regista, è universalmente considerato il primo grande lungometraggio di fantascienza e un capolavoro del movimento dell’Espressionismo tedesco.

Realizzato nel fervore artistico della Germania di Weimar, il film utilizza immagini altamente simboliche e scenografie visionarie per esplorare le profonde ansie socioculturali del suo tempo, affiancandosi a classici come “Il Golem” e “Nosferatu”.
La sua produzione fu colossale: con un budget quasi dieci volte superiore a quello di un film hollywoodiano dell’epoca e oltre due anni di lavorazione, Lang costruì in studio gigantesche architetture e impiegò circa 25.000 comparse per dare vita alla sua indimenticabile città futuristica.

La vicenda è ambientata nella città-stato di Metropolis nell’anno 2026. La società è rigidamente divisa in due classi.
In superficie, nei lussuosi grattacieli e giardini pensili, vivono i “Pensatori”, un’élite di industriali e intellettuali guidata dall’indiscusso e calcolatore Joh Fredersen, il fondatore della città.
Nel sottosuolo, invece, vive e lavora la massa operaia, le “Mani”, costretta a turni estenuanti per far funzionare le gigantesche macchine che alimentano la vita agiata di chi sta sopra.

Il giovane Freder, figlio di Joh Fredersen, conduce una vita spensierata finché l’incontro con Maria, una profetessa proveniente dal mondo di sotto, non scuote la sua coscienza.
Insieme a un gruppo di bambini operai, Maria irrompe nel suo giardino paradisiaco, dicendo: “Guardate, questi sono i vostri fratelli!”. Colpito dall’ingiustizia,
Freder scende nelle profondità della città, dove assiste inorridito alle disumane condizioni di lavoro. Durante l’esplosione di una macchina, ha una visione terrificante: la macchina si trasforma in Moloch, un’antica divinità cannibale a cui gli operai vengono sacrificati.

Deciso ad agire, Freder scambia i suoi abiti con un operaio per provare sulla propria pelle la durezza di quella vita.
Nel frattempo, suo padre, preoccupato dai primi segnali di ribellione ispirati da Maria, si rivolge al geniale e folle inventore Rotwang. Fredersen gli ordina di creare un automa con le sembianze di Maria per seminare discordia tra i lavoratori.
Rotwang accetta, ma cova un piano segreto: usare il robot per distruggere Metropolis e vendicarsi di Fredersen, che in passato gli rubò la donna amata, Hel, la madre di Freder.

Rotwang rapisce la vera Maria e trasferisce la sua immagine al robot. Nasce così la “Falsa Maria”, una versione seducente e caotica che prima corrompe l’élite maschile con danze lascive e poi incita gli operai alla rivolta violenta, tradendo il messaggio di pace e pazienza della vera Maria.
Spinti dai suoi discorsi incendiari, i lavoratori distruggono la “Macchina a Cuore”, il generatore centrale della città. Quello che non sanno è che questa macchina regola anche le pompe idriche, e la sua distruzione provoca l’allagamento della città sotterranea, mettendo in pericolo la vita dei loro stessi figli.

Mentre il caos dilaga, la vera Maria riesce a fuggire e, con l’aiuto di Freder, salva i bambini dalla furia dell’acqua. Gli operai, resisi conto dell’inganno, catturano la Falsa Maria e la bruciano sul rogo, rivelando la sua natura metallica.
Nello scontro finale, Freder affronta Rotwang sul tetto della cattedrale, e l’inventore precipita nel vuoto. La crisi è finita, ma la frattura tra le classi rimane. Sarà Freder, il “Cuore”, a compiere la profezia di Maria, agendo come mediatore tra suo padre, la “Testa”, e il capo degli operai, le “Mani”, unendo le loro mani in un gesto di riconciliazione.

Al cuore di “Metropolis” vi è una potente allegoria sociale sullo scontro tra capitale e lavoro.
Il film non risparmia critiche né all’oppressione capitalista, impersonata dal freddo Fredersen, né alla rivolta cieca e autodistruttiva delle masse, manipolate dalla demagogia della Falsa Maria.

L’opera è intrisa di riferimenti biblici e mitologici:

1. La Torre di Babele: Maria narra la parabola per spiegare l’incomunicabilità tra chi progetta (la Testa) e chi costruisce (le Mani), un destino che la stessa Metropolis rischia di ripetere.

2. Moloch: La visione di Freder trasforma la tecnologia industriale in un’entità pagana che divora i suoi stessi creatori, simbolo della disumanizzazione del progresso.

3. Maria e la sua doppione: La vera Maria è una figura messianica, una sorta di Vergine misericordiosa che predica pace. La Falsa Maria, invece, è la “prostituta di Babilonia”, un idolo impostore che incarna la seduzione, la menzogna e il caos.

4. Rotwang: L’inventore rappresenta l’archetipo dello scienziato prometeico che gioca a fare Dio, creando un essere artificiale che sfugge al suo controllo, un tema che anticipa le riflessioni sul transumanesimo.

Alla sua uscita, “Metropolis” fu un’opera pionieristica ma controversa. Nonostante le critiche negative, come quella celebre di H.G. Wells che lo definì “il film più sciocco di tutti”, la sua influenza è stata immensa e duratura.
La visione architettonica di Lang, un mix di Art-Déco, Gotico e Futurismo, ha definito l’immaginario della città distopica per decenni, da “Blade Runner” (1982) di Ridley Scott, con i suoi paesaggi urbani stratificati e grattacieli imponenti, fino a innumerevoli altre opere.

I temi del film hanno anticipato capolavori letterari come “1984” di George Orwell e cinematografici come “Tempi Moderni” (1936) di Charlie Chaplin, che riprese la dicotomia uomo-macchina con la sua inconfondibile satira.
Il design del robot Maria è stato il modello esplicito per l’iconico C-3PO di “Star Wars”, mentre la figura dello scienziato pazzo Rotwang ha ispirato personaggi come il Dottor Stranamore di Kubrick e vari antagonisti di James Bond.

Il suo impatto si estende anche alla musica: i Queen utilizzarono spezzoni del film nel videoclip di “Radio Ga Ga” (1984), e nello stesso anno Madonna ricreò le sue ambientazioni per “Express Yourself”.

“Metropolis” è molto più di un semplice film; è un’esperienza estetica e un monumento della cultura del Novecento.
Sebbene la sua soluzione narrativa possa apparire oggi semplicistica, la potenza delle sue immagini, la profondità delle sue allegorie e la sua sconcertante preveggenza lo rendono un’opera di straordinaria attualità.
Dalle disuguaglianze sociali alla disumanizzazione tecnologica, le domande poste quasi un secolo fa risuonano ancora con urgenza.

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