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Su Fabbrica della Comunicazione, la rubrica Politicamente è a cura dello scrittore e storico Paolo Borgognone che commenta con Beatrice Silenzi fatti di attualità, politica e geopolitica.

Nobel come arma geopolitica. Premi, guerre e propaganda

Storico e saggista, Borgognone intreccia le trame della geopolitica con quelle della manipolazione mediatica, offrendo una lettura disincantata di un mondo dove la pace si proclama con una mano mentre, con l’altra, si firma la prossima guerra.
L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace — apparentemente un riconoscimento umanitario, ma spesso, sostiene Borgognone, strumento politico travestito da virtù morale.
L’analisi parte dal caso del Venezuela, paese strategico per le sue immense riserve petrolifere, e si allarga fino a toccare il conflitto israelo-palestinese e l’Ucraina, disegnando una mappa di un mondo dove i confini della pace e della propaganda si confondono.

Il Nobel come arma politica

Borgognone afferma senza esitazione che “l’assegnazione del Nobel alla leader dell’opposizione venezuelana Maria Corina Machado è un’operazione di legittimazione mediatica, preparatoria a una possibile guerra”.
L’analogia storica non manca: nel 1983, ricorda lo storico, lo stesso premio fu assegnato a Lech Wałęsa in Polonia, costruendo l’immagine di un oppositore eroico e pacifista.
Quell’operazione fu il preludio alla trasformazione del paese in un alleato fedele dell’Occidente e alla privatizzazione del patrimonio statale.

Il copione, secondo Borgognone, si ripete oggi in America Latina. Machado, filoamericana, avrebbe già dichiarato la volontà di privatizzare la compagnia petrolifera nazionale e riconoscere Gerusalemme come capitale indivisa d’Israele.
In questo senso, il Nobel non sarebbe un premio alla pace, ma un “bollino di legittimità internazionale” con cui le potenze occidentali preparano il terreno mediatico a un possibile golpe o a un intervento militare.

Non è una novità: “Gli Stati Uniti – prosegue Borgognone – hanno una lunga tradizione di colpi di Stato in America Latina, dal Cile alla Bolivia, fino all’Argentina. Ogni volta si costruisce l’immagine dell’eroe liberatore, mentre si abbatte un governo colpevole solo di voler gestire in modo autonomo le proprie risorse”.

Il doppio standard della pace

Se la tregua nella Striscia di Gaza potrà trasformarsi in pace duratura. Borgognone è netto: “No, non sarà mai una pace duratura. Israele ha già violato il cessate il fuoco. Non riescono a stare fermi più di ventiquattro ore senza uccidere qualche palestinese”.
Dietro la sua ironia amara, emerge una critica profonda al doppio standard dell’Occidente, pronto a giustificare le azioni di Israele in nome della democrazia e della sicurezza, mentre considera ogni reazione palestinese un atto di terrorismo. “Se fossero stati uccisi centomila israeliani – afferma lo storico – il mondo sarebbe già in guerra. Ma i palestinesi, essendo musulmani, sono descritti come bestie. E così ogni massacro passa come necessario.”

La pace, dunque, non è che una parola svuotata, usata a intermittenza secondo convenienza politica. Un “foglio di carta che non vale nulla”, dice Borgognone, perché Israele gode dell’immunità garantita dall’alleanza con gli Stati Uniti e dal sostegno delle cancellerie europee.

Ucraina, riarmo e la guerra che già c’è

“Zelensky è un buffone, ma pericoloso. Sa che se Kiev cade, la sua carriera finisce. Per questo vuole i missili Tomahawk e cerca di trascinare l’Occidente in un conflitto diretto con la Russia”. La guerra mondiale è già in corso, anche se in forme diverse da quelle del passato: “Si combatte in Ucraina, in Medio Oriente, in Africa e presto, forse, in America Latina. È una guerra diffusa, non dichiarata, ma reale. L’Italia non è campo di battaglia solo perché è già sotto controllo dal 1945, senza bisogno di invasioni armate”.

Dietro questa visione si intravede una tesi più ampia: la guerra contemporanea è ibrida, combattuta con armi, sanzioni, propaganda e manipolazione economica. L’Europa “ha riconvertito la propria economia da civile a militare”, acquistando armi dagli Stati Uniti e alimentando così il ciclo bellico-industriale. “Noi compriamo l’energia quattro volte più cara dagli americani, e la chiamiamo libertà”, osserva sarcastico.

L’Unione Europea come fortino della NATO

L’analisi diventa più inquietante quando si tocca il tema delle libertà democratiche. “Le elezioni in Romania sono state annullate – ricorda Borgognone – e in Moldavia manipolate. È stato aperto un precedente gravissimo. Se domani in Italia vincesse un partito non allineato alla NATO, non dubito che si arriverebbe a una soluzione di forza”.

Lo scenario che descrive è quello di un’Europa commissariata, dove il voto resta un rito formale e la sovranità è condizionata dagli interessi del blocco atlantico.
“L’Unione Europea è l’ultimo fortilizio del capitalismo finanziario americano – afferma – e non credo che gli Stati Uniti siano disposti a lasciarla andare solo perché gli elettori di un paese decidono diversamente.”

Il riferimento alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è esplicito: “Già nel 2022 aveva ammonito Giorgia Meloni, dicendo: ‘Vi terremo sotto controllo’. È la stessa logica che si ripeterebbe in caso di nuove elezioni scomode per l’ordine atlantico”.

Nelle parole finali, Borgognone riassume la sua visione del presente: “La guerra globale non è qualcosa che deve ancora arrivare: è già qui. Non si combatte nelle nostre strade, ma riguarda tutti noi.
È economica, energetica, mediatica. Ci tocca quando arriva la bolletta quadruplicata, quando si restringono le libertà, quando le elezioni vengono sospese in nome della stabilità.”

“Allora teniamoci pronto almeno il kit delle 72 ore di sopravvivenza: un po’ di contanti, una bottiglietta d’acqua e la consapevolezza che siamo in guerra, anche se non la vediamo.”
La conclusione di Borgognone suona come un monito: “Finché la pace sarà usata come pretesto per la guerra e il Nobel come copertura della propaganda, non ci sarà stabilità possibile.
Solo un popolo consapevole può difendersi. Ma serve una rivoluzione culturale prima ancora che politica.”

In un mondo che celebra la pace e prepara la guerra, le parole di Borgognone ricordano che la vera battaglia si combatte nella coscienza collettiva: quella tra verità e menzogna, libertà e controllo, informazione e manipolazione. Ed è una battaglia, questa sì, che riguarda tutti.

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