Francesca Del Vecchio e la Global Sumud Flotilla
Inviata de La Stampa la Del Vecchio è stata al centro di una recente quanto spinosa questione.
La sua espulsione dalla missione Global Sumud Flotilla è un fatto noto ormai che costringe però ogni giornalistica a fare considerazioni sulla deontologia e sul tentativo di controllo che viene attuato sull’informazione.
La cronista, invitata nel mese di agosto da un’attivista conosciuta tempo prima a seguire l’iniziativa della Flotilla come reporter, dopo averne discusso con la portavoce italiana del progetto, Maria Elena Delia, aveva ricevuto l’assenso a documentare l’intero percorso.
L’obiettivo sulla carta era quello di illustrare al pubblico la preparazione e lo svolgimento di un’azione umanitaria che ambiva a portare aiuti alla popolazione stremata di Gaza.
Giunta a Catania, punto di partenza della delegazione italiana, la giornalista aveva iniziato un diario di bordo pubblicato sul sito del quotidiano, raccontando le attività preliminari e il corso sulla “non violenza”. Il clima, scrive Del Vecchio, era già improntato a una certa diffidenza di base: ai partecipanti veniva chiesto di consegnare telefoni e passaporto e di sottoporsi a controlli personali per ragioni di sicurezza, (fatto che ha già sentore di “regime di polizia”).
Durante il training che includeva simulazioni di abbordaggi e arresti, l’inviata della stampa riferisce che altri reporter e fotografi esterni erano presenti con videocamere e macchine fotografiche per immortalare le esercitazioni.
Le tensioni sarebbero esplose nei giorni successivi
Le viene inibito l’accesso alle imbarcazioni e le interviste divengono quasi impossibili. Dopo aver chiesto di assistere a un turno di sorveglianza notturna, con la promessa di scriverne solo dopo la partenza, Del Vecchio sostiene di aver incontrato solo silenzi e rinvii.
Poco dopo sarebbe stata rimossa dalle chat interne e convocata da un membro del direttivo, che l’avvisava della decisione di allontanarla in quanto, secondo l’organizzazione, aveva divulgato “informazioni sensibili” in grado di compromettere la sicurezza della spedizione.
La cronista sostiene di aver provato a spiegare che la notizia contestata era già nota ad altri colleghi, dunque non poteva essere considerata un segreto operativo.
Il giorno seguente Del Vecchio ottiene un confronto con Maria Elena Delia, cerca di chiarire l’equivoco, riaffermando la necessità di trovare una sintesi tra una giusta prudenza e il diritto all’informazione.
Sembrava un passo verso la distensione, ma, poco dopo, altri membri del gruppo la raggiungono durante un’esercitazione in mare per comunicarle bruscamente che la fiducia era ormai compromessa.
Le viene restituito il passaporto e invitata a lasciare il sito senza poter viaggiare con il resto della delegazione.
A seguito del clamore suscitato dall’episodio, la portavoce della Global Sumud Flotilla ha rilasciato una nota ufficiale. “Abbiamo il massimo rispetto per la libertà di stampa, che rappresenta la protezione più grande che abbiamo – ha dichiarato Delia – ma chi si imbarca accetta anche le regole che ci siamo dati per tutelare equipaggi e passeggeri”. Secondo la sua ricostruzione, viene ribadito che la giornalista avrebbe violato l’indicazione di non divulgare i luoghi in cui erano ormeggiate le barche e dove si svolgeva l’addestramento, creando smarrimento tra i volontari. “Si è generata una perdita di fiducia e la stessa decisione sarebbe stata presa con chiunque avesse trasgredito”.
Questa divergenza di vedute tocca un nodo centrale, la funzione della stampa è quella di garantire al pubblico un’informazione essenziale ed accurata, che includa anche gli aspetti meno agevoli di un’iniziativa umanitaria.
Chi racconta deve essere consapevole delle implicazioni che la pubblicazione di certi dettagli può avere sulla sicurezza altrui ed assumersi la responsabilità di ciò che scrive.
Il dubbio che resta – ed è fastidioso – sta nel fatto che la decisione di allontanare Francesca Del Vecchio non sia stata motivata solo da questioni di riservatezza, ma soprattutto dalla sua scelta di mantenere un punto di vista indipendente, non piegato a logiche di consenso o di propaganda.
Un sospetto che, qualora risultasse fondato, metterebbe in discussione non solo la gestione di questa missione, ma il principio stesso della libertà di stampa, soprattutto quando il giornalismo, come è nella sua natura, si addentra nei territori complessi e rischiosi del racconto contemporaneo. E la tentazione di farne uno strumento asservito da parte degli attori coinvolti diventa molto forte per i tanti interessi in gioco.