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La rubrica Il Punto di Vista è a cura dello scrittore e giornalista Max del Papa e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.
La tragedia dei “cuoricini”: quando tutto diventa spettacolo
C’è qualcosa di profondamente rivelatore nel confronto leggero e tagliente tra Beatrice Silenzi e Massimo Del Papa. Dietro l’ironia che attraversa la chiacchierata — i Coma_Cose che si sposano per andare a Sanremo, i Maneskin che si separano e si ricompongono come yogurt a scadenza, le voci pop costruite su software e algoritmi — si cela una riflessione più cupa: la cultura dell’immagine ha divorato il senso. La tragedia non è più quella della realtà, ma quella della rappresentazione.
Gli artisti si amano e si lasciano sotto le luci dei riflettori, i politici festeggiano l’immunità come una vittoria morale, gli influencer indossano vestaglie “solidali” da migliaia di euro per promuovere se stessi. Tutto è comunicazione, tutto è immagine, e la sincerità è diventata un prodotto di marketing. Così fa oggi l’industria musicale e, per estensione, quella culturale.
Artisti senza identità, progetti costruiti a tavolino, reunion programmate come campagne elettorali. Tutto riciclato, nulla autentico. “Prendono una roba vecchia e ci fanno su il polpettone”, dice Del Papa.
Ed è proprio questo: il riciclo continuo di emozioni finte, la messa in scena perpetua di relazioni, tragedie e rinascite programmate.
La musica, un tempo linguaggio dell’anima, si è ridotta a simulacro del sentimento. Gli artisti “troppo di successo” si dichiarano logorati dal proprio successo, poi annunciano pause strategiche, rientri miracolosi, reunion predestinate. Una ruota che gira su se stessa, senza più motore creativo.
La politica come Sanremo
Eppure la riflessione non si ferma alla musica. Quando la conversazione vira sul caso Ilaria Salis, il tono si fa più serio ma resta coerente: anche la politica è diventata un festival dell’immagine.
La deputata che festeggia il voto d’immunità a pugno chiuso, circondata da tappi di bottiglia e sorrisi plastificati, è — per Del Papa — la perfetta incarnazione del cortocircuito morale contemporaneo.
Non è più importante il merito, né la responsabilità, ma la performance. L’immagine del trionfo personale vale più del senso politico.
“Ti sei salvata per un voto e festeggi con lo champagne — dice Del Papa — è una violenza simbolica.”
Come nei Coma_Cose, che cantano “Cuoricini” mentre si odiano, anche nella politica il sentimento è sostituito dalla rappresentazione.
Non conta più essere, ma apparire: la coerenza non serve, basta un’immagine efficace, un gesto simbolico, un frame condivisibile.
Quando Del Papa parla della “vestaglia oncologica” da 7.000 euro, l’indignazione esplode in sarcasmo. Ma dietro la battuta si cela un’accusa precisa: il dolore, la malattia, la solidarietà sono diventati strumenti di marketing.
C’è una perversione sottile in questa estetizzazione del dramma umano: il lutto e la compassione vengono confezionati, venduti, replicati. L’empatia si misura in like, la beneficenza in views.
E allora il giornalista ironizza: “Vi accolgo con la vestaglia oncologica al mio tour”. La battuta, però, colpisce nel segno: nella società dei fovellini, l’unica cosa che conta è la visibilità. E anche il dolore diventa spettacolo.
La favola dell’asino vanitoso
Il discorso si allarga, improvvisamente, verso un orizzonte storico e simbolico. Del Papa cita Le Roman de Fauvel, poema allegorico del XIV secolo che racconta la storia di un asino — Fauvel — incarnazione della vanità e dell’ipocrisia del potere. Fauvel sposa Vanagloria e genera una stirpe infinita di piccoli asinelli: i fovellini, appunto.
Otto secoli dopo, quei fovellini dominano ancora il mondo. Sono politici, influencer, cantanti, manager. Mescolano potere e denaro, consenso e visibilità, come un’unica sostanza. “È la prima volta — dice Del Papa — dai tempi dei faraoni che il potere finanziario e politico coincidono.”
L’arte e la politica non sono più strumenti di riflessione, ma segmenti di un’unica filiera industriale: la produzione di consenso estetico. L’immagine sostituisce l’idea, il gesto sostituisce il pensiero. È la burocrazia dello spettacolo, dove tutto è regolato e inscenato per generare profitto, non verità.
L’estetica senza etica
Nell’ultima parte della conversazione, emerge una diagnosi impietosa: il modello morale è scomparso, resta solo quello estetico. Non esiste più una distinzione tra bene e male, ma solo tra bello e brutto, visibile e invisibile.
È l’epoca del corpo esibito e della cosmesi dell’anima. Big Mama e Clara, due figure opposte — una grottesca, l’altra iperestetica — finiscono entrambe a promuovere deodoranti. È il paradosso perfetto: l’arte ridotta a pubblicità, la musica a cornice di un prodotto.
“Non c’è più morale né moralismo — dice Del Papa — ma solo il modello estetico. Tutti sono piccole Clare, piccoli Fedez, piccoli Ferragni.”
Sono i nuovi fovellini: creature dell’immagine, del riflesso, del like. “Nel 2027 tornano — dice Del Papa — i Coma_Cose, i Maneskin, Fedez e Ferragni insieme come Albano e Romina.”
È la profezia del circolo vizioso: tutto muore per rinascere uguale, purché faccia audience. Non importa se sia amore o finzione, tragedia o farsa, politica o pubblicità.
L’Italia dei “cuoricini” continua a cantare, a litigare, a piangere, a festeggiare. Ma sempre sotto i riflettori.
E come dice Del Papa, con l’amara ironia che chiude ogni risata: “La bellezza dell’asino tira tantissimo. Ma l’asino resta sempre un asino.”
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