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La rubrica Libero Pensiero – a cura di Beatrice Silenzi giornalista e direttore responsabile – ospita l’antropologa Valentina Ferranti

Consenso e Relazioni Umane: La Linea Rossa in un’Epoca di Incomunicabilità

In un’epoca segnata da profonde trasformazioni sociali e culturali, il dialogo tra maschile e femminile sembra incrinarsi sotto il peso di incomprensioni e rivendicazioni contrapposte.
A gettare ulteriore benzina sul fuoco del dibattito è la recente modifica dell’articolo 609-bis del codice penale in materia di violenza sessuale, che introduce il concetto di “consenso libero e attuale”.
Una novità legislativa approvata con un accordo bipartisan alla Camera che, se da un lato mira a rafforzare la tutela delle vittime, dall’altro solleva interrogativi complessi sulla sua applicabilità e sulle possibili derive.

La discussione, come emerge dal dialogo con l’antropologa e scrittrice Valentina Ferranti, si inserisce in un contesto più ampio di crescente incomunicabilità tra i generi.
Da una parte, la violenza maschile sulle donne resta un’emergenza innegabile, spesso l’atto finale di un’escalation di abusi fisici e psicologici.
Su questo punto, la condanna è unanime e la necessità di interventi efficaci fuori discussione.

Tuttavia, si fa strada anche la riflessione su una forma di violenza più subdola e silenziosa, quella psicologica ed economica agita da alcune donne nei confronti degli uomini, specialmente in contesti di separazione.
Una sofferenza spesso taciuta, che vede uomini privati della possibilità di vedere i propri figli o ridotti in crisi economica, costretti a vivere in auto o a ricorrere alla Caritas per un pasto caldo.

È in questo scenario complesso che si inserisce la modifica legislativa sul consenso.

L’intento è quello di spostare il focus dalla resistenza della vittima alla presenza di un consenso chiaro, libero e manifestato nel “qui e ora” del rapporto.
Un principio che, sulla carta, appare come un passo avanti nella cultura del rispetto e della libertà sessuale.
Eppure, le criticità sollevate sono numerose e toccano le fondamenta stesse delle relazioni umane.

Il rischio, secondo la Ferranti, è quello di una “burocratizzazione del rapporto sessuale”, in cui l’intimità e la spontaneità vengono soffocate dalla necessità di una verbalizzazione continua e inequivocabile del consenso.
Cosa accade nei rapporti di lunga data, dove il linguaggio del corpo spesso parla più forte delle parole?
Come interpretare la “linea sottilissima” che separa un corteggiamento insistito da una molestia?

La vaghezza e l’inattuabilità di alcuni aspetti della norma, basati su percezioni e vissuti personali, potrebbero aprire la porta a una soggettività interpretativa pericolosa, in cui sarà un giudice a decidere, a posteriori, sulla presenza o meno del consenso.
Una delle maggiori preoccupazioni riguarda la possibile strumentalizzazione della legge.
Il timore è che la nuova norma possa trasformarsi in un’arma di vendetta nelle mani di partner animate da rancore al termine di una relazione, ribaltando il principio della presunzione di innocenza.

La parola di una presunta vittima potrebbe avere un peso schiacciante

Rendendo estremamente difficile per un uomo difendersi da accuse infondate.
Inoltre, la discussione sul consenso si intreccia con il più ampio dibattito sul “femminicidio”.
La Ferranti si schiera con coloro che preferiscono il termine “omicidio”, ritenendo che la connotazione di genere sia fuorviante e non colga la radice del problema.
La violenza, in tutte le sue forme, è esecrabile, indipendentemente dal genere di chi la compie e di chi la subisce.

Di fronte a queste complessità, emerge con forza la necessità di spostare il focus dalla sfera legislativa a quella educativa e culturale.
La legge, da sola, non può risolvere la crisi dei rapporti umani. Anzi, un’eccessiva ingerenza della normativa nella sfera intima rischia di svilire l’amore e la sessualità, trasformandoli in una questione di “carte bollate”.
La vera sfida, secondo l’antropologa, è quella di riscoprire un dialogo proficuo tra maschile e femminile, basato sul rispetto reciproco e sulla responsabilità individuale.

Un dialogo che oggi è messo a dura prova da una società che impone ritmi forsennati, lasciando poco tempo e spazio alla cura delle relazioni.
La delega all’educazione affettiva e sessuale alla scuola non può sopperire al ruolo primario della famiglia, anch’essa in crisi per questioni economiche e sociali.
In questo scenario si inseriscono anche i nuovi movimenti, come il “transfemminismo”, che, nel tentativo di combattere ogni forma di oppressione, rischiano di creare ulteriori divisioni e di allontanare da una “semplicità del vivere”.

La critica non è all’inclusività, ma al modo in cui certe rivendicazioni, espresse attraverso slogan complessi e talvolta vuoti, finiscono per criminalizzare la diversità che vorrebbero proteggere, ponendola sotto una lente d’ingrandimento che ne altera la percezione.
In definitiva, la modifica della legge sul consenso, pur partendo da un’intenzione lodevole, rischia di essere un palliativo che non cura la malattia.
La vera guarigione, secondo la prospettiva offerta dalla Ferranti, risiede nella capacità di tornare a un “vivere più umano”, in cui uomini e donne possano riscoprirsi non come avversari in una battaglia di genere, ma come alleati nella costruzione di relazioni sane e autentiche.

Un percorso difficile, che richiede una riconsapevolizzazione del proprio ruolo e un impegno collettivo per ricostruire quel tessuto sociale e familiare che oggi appare sempre più sfilacciato. Solo così si potrà sperare di arginare la violenza, in tutte le sue forme, e di ritrovare un equilibrio perduto.

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