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La rubrica Spiritualità e Mistero – a cura di Beatrice Silenzi giornalista e direttore responsabile – ospita il sacerdote ed esorcista Don Luciano Condina.

NATALE È L’AMORE CHE NASCE IN NOI

Siamo immersi nel periodo natalizio, un tempo che la società moderna ha progressivamente trasformato in una frenetica corsa al regalo, alle luminarie e a quel generico “volemose bene” che spesso dura lo spazio di un brindisi.
Ma grattando via la superficie dorata del consumismo e della retorica new age, emerge un significato antico e potente, capace di scuotere le fondamenta stesse del nostro vivere quotidiano.

È su questo crinale, tra la festa commerciale e il mistero teologico, che si muove la riflessione di Don Luciano Condina, il vero Natale, ci ricorda il sacerdote, non è una semplice ricorrenza storica o un anniversario da celebrare con torta e candeline.
Dal punto di vista spirituale, il Natale rappresenta l’accensione di una “luce nuova” all’interno dell’uomo.
È la possibilità, offerta a chiunque, di amare in modo soprannaturale.
Gesù, nel Discorso della Montagna, esorta a essere “perfetti come è perfetto il Padre vostro”.

Una richiesta che potrebbe apparire schiacciante se intesa come onnipotenza o infallibilità gestionale.
La perfezione a cui l’uomo è chiamato è esclusivamente quella dell’amore. Guardando al Cristo in croce, non vediamo un supereroe immune al dolore, ma un uomo che, pur avendo addosso tutto il male del mondo, non smette di amare.
Il termine latino tollis, che usiamo nella liturgia (“Tu che togli i peccati del mondo”), significa letteralmente “tu che prendi su di te”.

Il male non viene cancellato magicamente, viene assunto; eppure, esso non ha il potere di spegnere l’amore. Questa è la vera sfida natalizia: scoprire che il cuore umano è progettato per amare fino in fondo, smentendo la menzogna demoniaca secondo cui l’amore disinteressato non esiste.
Questa incarnazione dell’amore ci porta a riflettere sul luogo stesso della nascita: la stalla.
Spesso romanticizzata dai presepi artistici, la stalla è in realtà un luogo sporco, maleodorante, pieno di germi.
È l’immagine perfetta del nostro cuore, capace di nutrire sentimenti bassi e pensieri inconfessabili.

Se proiettassimo su uno schermo ciò che passa nella nostra mente, ne saremmo probabilmente terrorizzati. Eppure, è proprio in quella “stalla interiore” che Dio sceglie di nascere.
Sant’Ireneo di Lione usava l’espressione Caro capax Dei: la carne è capace di Dio. Contrariamente a certe spiritualità orientali che vedono nella materia un ostacolo da superare o annullare, il cristianesimo pone la carne al centro della salvezza.
La resurrezione della carne non è solo un evento escatologico finale, ma una possibilità presente: la mia carne, oggi, può diventare capace di un amore divino.

In un luogo di sporcizia, la mangiatoia è il contenitore del cibo.
Gesù, venendo deposto lì, si prefigura già come nutrimento. Non è venuto per imporre una morale esterna, un manuale di istruzioni o una filosofia astratta.
È venuto per farsi mangiare, per entrare in noi e trasformarci dall’interno. Questo spiega anche l’approccio di Gesù nell’uso delle parabole: non spiegava tutto subito non per nascondere la verità, ma per costringere l’ascoltatore a tornare da Lui, a chiedere spiegazioni, instaurando così una relazione viva.
Il cristianesimo non è un insieme di regole, ma una relazione che salva.

Un altro aspetto cruciale toccato da Don Luciano riguarda la gestione delle passioni e del desiderio, marcando una differenza netta con lo stoicismo, filosofia imperante ai tempi di Gesù e che, in forme diverse, affascina anche l’uomo contemporaneo.
Lo stoicismo predica l’apateia, l’assenza di passioni, per raggiungere una pace imperturbabile. Il ragionamento è logico: se elimino il desiderio, elimino la sofferenza.
Ma il Dio cristiano è un Dio di passione. I mistici descrivono un Gesù che ama “pazzamente”.

Il problema dell’uomo non è il desiderare, ma cosa desidera.
I comandamenti non dicono di smettere di provare emozioni, ma di non desiderare il male. Poiché è impossibile comandare al cuore di non desiderare con la sola forza di volontà, l’unica via è un “trapianto”: ricevere un cuore nuovo, come profetizzato da Ezechiele.
Il cristianesimo non sopprime la natura umana, la educa (educere, tirar fuori). Prende ciò che siamo e lo eleva: il pescatore diventa pescatore di uomini, il carpentiere costruttore di comunità.
Non si distruggono le rovine, si costruisce sopra, rivestendo la natura umana di una dignità nuova.

Questa visione si scontra oggi con una tendenza alla despiritualizzazione, dove il Natale diventa solo “festa d’inverno” e i luoghi sacri semplici mete turistiche. Eppure, in luoghi come Loreto o Assisi, anche i non credenti avvertono spesso un’energia particolare.
Dio, quando tocca un luogo o una persona, lascia un profumo indelebile. Dio parla attraverso la realtà, anche quella più dura. La sofferenza, simboleggiata biblicamente dal deserto, è un passaggio obbligato, non un incidente di percorso.
Lo Spirito conduce Gesù nel deserto. Smettere di fare la guerra alla realtà e accettare il deserto è il primo passo per imparare l’arte di vivere, per trasformare — come si suol dire — i limoni aspri della vita in limonata.

Infine, in un mondo web saturato di interpretazioni, teorie complottiste e riletture fai-da-te delle Scritture che spesso sfociano nella blasfemia o nella confusione totale, Don Luciano ci ricorda l’importanza della bussola.
La libera interpretazione ha il suo valore, ma la garanzia di non perdere il messaggio originale risiede nella successione apostolica.
Gli apostoli hanno ricevuto lo Spirito Santo e lo hanno trasmesso in una catena ininterrotta fino a oggi.
Questo non significa che tutto sia stato già compreso: la comprensione della Scrittura è una spirale che sale verso l’alto. Si torna sugli stessi passi, ma con una consapevolezza sempre nuova e più profonda.

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