di GIORGIO PANDINI

Lo ammetto, A caus’ des Garçons – il brano del 1987 – è stata la prima cosa che mi è venuta in mente, leggendo il nuovo hashtag che sta spopolando sui social network: #MeTooGarçons

Ma qui gli anni ‘80 non c’entrano affatto.

Qui si tratta di una nuova proposta, di un’idea, o meglio, della risposta francese all’ormai celebre #MeToo made in USA, che, da qualche tempo, imperversa.

Il #MeTooGarçons è dunque una sorta di contenitore virtuale che raccoglie tutte le testimonianze di abusi sessuali di cui sono state vittime persone di genere maschile.

Tutto inizia con la vicenda di Aurélien Wiik – 43 anni, attore e regista francese – che ha denunciato di aver subito molestie sessuali dal suo agente – e da altri del suo entourage – dalla tenera età di 11 fino a 15 anni.

Durante il processo, durato all’incirca 5 anni, ha poi avuto modo di confrontarsi con altre vittime di abusi che si sono fatte avanti dopo di lui, scoprendo di non essere il solo.

Tuttavia, nella successiva corsa al dibattito pubblico, statistiche alla mano ed indipendentemente dal sesso delle vittime, le testate mainstream si sono affrettate ad aggiungere che i molestatori sono – per il 90 per cento – uomini, anche se non mancano le segnalazioni di abusi da parte di donne.

Ma addentriamoci nel problema.

Da una parte c’è il movimento femminista che denuncia molestie e ingiuste disparità di trattamento tra generi, specie in ambito lavorativo. Dall’altra, l’ormai nota lobby lgbtq+ che rimarca discriminazioni e violenze di cui sono oggetto individui di genere fluido.

Finora questi due macro movimenti sono andati a braccetto perché le donne che si considerano minoranza oppressa sono sempre state disponibili a lottare insieme agli indecisi sul genere. Ma questa grottesca unione ha dato origine anche all’insensata deriva dell’inclusione tout court, principalmente attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

Pensiamo al cinema, alle serie Tv, ai libri di favole, con quelle fasulle revisioni politically correct dei grandi classici.
Pensiamo all’introduzione o alla cancellazione di determinate parole di cui si fa, da sempre uso, sotto l’ombrello eminentemente ideologico del gender, del woke e del patriarcato.

Forzature che sfociano nel ridicolo e che hanno, come conseguenza diretta, l’annullamento della dignità anche delle istanze che sarebbero di per sé giuste, se non fossero buttate in questo enorme calderone di storture.

Quindi oggi il neonato #MeTooGarçons, potrebbe essere solo l’ennesima pedina utile ad un nuovo cortocircuito ideologico.

Perché stavolta non basta dire che i molestatori sono tutti maschi.
Occorre sottolineare che sono anche omosessuali, sovente pedofili.
Dunque, come la mettiamo?
Addio patriarcato misogino?

Sto con Franco Battiato: “in quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell’orrore”.
E di orrore si tratta, in ogni caso.
Perché, mentre la gente si accapiglia ingaggiando duelli rusticani per difendere l’indifendibile, in disparte, dimenticate da tutti, stanno proprio le vittime delle violenze, con traumi di ferite – sovente avvenute in tenera età – che faticano a rimarginarsi.

Persone che portano dentro di loro un fardello emotivo devastante, che ha un impatto reale nel quotidiano.
Persone che nemmeno denunciano, per vergogna, per timore di non essere credute, perché dovrebbero poi scontrarsi con i loro molestatori in tribunale ed essere al centro dell’attenzione morbosa di chiunque.

Persone che aggiungono al dramma anche lo stigma del vittimismo, in un gioco perverso in cui si sentono, in parte, colpevoli di quanto accaduto.
Persone che – appartenendo al genere maschile – non possono permettersi di essere “deboli”, seppur bambini.

È ora di dire basta per davvero.

È ora di ascoltare e per farlo non servono hashtag, né la spettacolarizzazione del dolore.
C’è bisogno di umanità, di cuore, di autenticità: caratteristiche che stiamo perdendo per favorire chi urla di più, con buona pace di coloro che tacciono e restano vittime, anche se vanno avanti, giorno dopo giorno, silenziosamente.