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Su Fabbrica della Comunicazione la rubrica Libero Pensiero è cura di Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile, qui con Ilaria Bifarini.
Analisi di un trauma collettivo
A cinque anni dall’inizio della pandemia, Ilaria Bifarini, economista e scrittrice, pubblica “Covid-19: Diario di un’ipnosi di massa”, un’opera che ripercorre le dinamiche sociali, politiche e psicologiche scatenate dall’emergenza sanitaria.
Il libro, strutturato come un diario, raccoglie post, riflessioni e memorie personali scritte durante il periodo più critico, integrato da contributi di psicoterapeute che analizzano le conseguenze psichiche del trauma collettivo.
Genesi di un’emergenza: dalla Cina all’Italia “lazzaretto del mondo”
Il testo inizia con le prime notizie allarmistiche provenienti dalla Cina a dicembre 2019, passando per l’identificazione del virus SARS-CoV-2 e l’escalation mediatica che trasformò l’Italia, a febbraio 2020, nel “lazzaretto del mondo”.
Bifarini descrive come il paese abbia adottato misure restrittive precoci e severe rispetto ad altre nazioni: chiusure di attività commerciali, lockdown nazionali, e la drammatica vicenda delle bare di Bergamo, diventate simbolo di un’emergenza gestita con toni apocalittici.
L’autrice sottolinea il paradosso di un popolo stereotipato come “furbo” e incline all’individualismo, che invece si è mostrato docile di fronte a norme liberticide.
L’Italia, osserva, è stata un laboratorio di ingegneria sociale: primi nelle chiusure, ultimi nella riapertura, con un’adesione quasi masochista a protocolli che hanno devastato economia e turismo.
La definizione di “biopolitica” ricorre per descrivere un governo che, attraverso il controllo dei corpi e la somministrazione continua di paura, ha ridefinito i confini tra salute pubblica e diritti individuali.
Ipnosi di massa: tecniche di manipolazione e ruolo dei media
Il concetto di “ipnosi di massa”, centrale nel libro, viene analizzato attraverso le strategie comunicative utilizzate da istituzioni e media.
Bifarini cita le “10 regole della manipolazione” di Chomsky, evidenziando come il bombardamento mediatico di immagini scioccanti — terapie intensive, morti solitarie, protocolli sanitari militarizzati — abbia attivato meccanismi irrazionali e suggestionabilità collettiva.
La paura, amplificata da un linguaggio bellico (“guerra al virus”, “nemico invisibile”), ha favorito l’accettazione passiva di misure eccezionali.
L’autrice critica la normalizzazione della sorveglianza (Green Pass, tracciamento) e la criminalizzazione del dissenso, con episodi di aggressione verbale e fisica tra cittadini divisi in “pro-vax” e “no-vax”. Emerge un quadro in cui la libertà è stata percepita come un “peso” da delegare a un’autorità paternalistica, in cambio di un’illusoria sicurezza.
Conseguenze psicologiche: l’onda lunga del trauma
Due psicoterapeute, autrici della prefazione e della postfazione, forniscono dati allarmanti sull’aumento di ansia, depressione, fobie sociali e atti autolesionistici, specie tra i giovani. L’isolamento forzato, la didattica a distanza e la sostituzione delle relazioni reali con interazioni virtuali hanno alterato lo sviluppo emotivo di bambini e adolescenti, con casi estremi di *hikikomori* (ritiro sociale).
Bifarini denuncia la rimozione collettiva delle sofferenze collaterali: violenze domestiche acuite dal lockdown, crisi economiche ignorate, e la medicalizzazione della vita quotidiana, con un’ossessione per la sanità che ha eclissato altri diritti fondamentali.
Il libro accusa le istituzioni di aver sdoganato il dolore, trasformandolo in spettacolo mediatico, e di aver fallito nel fornire supporto psicologico post-pandemico, limitandosi a iniziative simboliche come il “bonus psicologo”.
Dissentio e frammentazione: le contraddizioni di un movimento
Un capitolo cruciale è dedicato al dissenso nato durante la pandemia. Sebbene l’opposizione a Green Pass e obblighi vaccinali abbia mobilitato piazze e generato nuovi movimenti, Bifarini ne critica la frammentazione e la mancanza di una visione coerente.
Il risveglio, scrive, è arrivato tardivamente, concentrandosi su singoli provvedimenti (come il certificato verde) anziché su una critica sistemica alla deriva autoritaria.
L’autrice osserva come molti leader del dissenso abbiano replicato dinamiche neoliberiste, privilegiando l’individualismo e la ricerca del consenso sui social media anziché costruire una comunità organizzata.
Manca, a suo avviso, una rielaborazione collettiva del trauma, sostituita da un ritorno alla normalità che ignora le cicatrici psicologiche e le responsabilità politiche.
Dalla pandemia alla guerra: il cambio di narrazione
Bifarini nota come la fine dell’emergenza sanitaria sia coincisa con l’inizio del conflitto in Ucraina, un passaggio che ha spostato l’attenzione pubblica senza risolvere le criticità pregresse.
La guerra, insieme agli annunci di “nuove pandemie” da parte di organizzazioni internazionali e figure come Bill Gates, ha perpetuato uno stato di paura cronica, utile a giustificare politiche securitarie.
Il libro si conclude con un monito: senza una presa di coscienza delle tecniche di manipolazione utilizzate, società sempre più medicalizzate e controllate rischiano di accettare come inevitabili future restrizioni alle libertà fondamentali.
Perché ricordare?
Il diario di Bifarini non è solo una cronaca, ma un atto di resistenza alla rimozione. Rileggere quei giorni attraverso i post dell’autrice — censurati, riscritti, integrati con memorie personali — serve a decostruire la narrazione dominante e a individuare i meccanismi che resero possibile l’adesione acritica a misure senza precedenti.
La domanda implicita è: cosa abbiamo imparato? La risposta, tragica, è che senza una rielaborazione critica, il passato rischia di diventare prologo.
Il testo, arricchito da analisi economiche e psicologiche, si propone come strumento per comprendere non solo il Covid-19, ma le dinamiche del potere in tempi di crisi. Una lettura necessaria per chi non vuole dimenticare, e soprattutto per chi non vuole essere sorpreso di nuovo.
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