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La rubrica L’Altra Domenica è a cura dello scrittrice e giornalista Enrica Perucchietti e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.
CYBORG PICCIONI RUSSI E L’ASCESA DI NEURALINK
Mentre il 2025 volge al termine, il bilancio collettivo sembra uscito dalle pagine più inquietanti di un romanzo di Philip K. Dick o da una puntata particolarmente cinica di Black Mirror.
Quello che un tempo definivamo “futuro” è precipitato nel presente con una velocità tale da lasciare storditi, portando con sé interrogativi etici che l’umanità non sembra ancora pronta ad affrontare.
La notizia che ha dominato le cronache di fine dicembre arriva dalla Russia, ma le sue implicazioni sono globali. Una startup moscovita ha presentato i primi “piccioni controllori”: volatili a cui è stato impiantato un chip cerebrale e che portano sulle spalle uno zainetto tecnologico per alimentare l’interfaccia neurale.
Ufficialmente, servirebbero per monitorare le linee elettriche e le infrastrutture difficilmente raggiungibili.
La spiegazione ufficiale appare come una sottile vernice per coprire una realtà molto più cruda.
“Sembrano armi non convenzionali mascherate da strumenti di monitoraggio”, osserva la saggista. Trasformare un essere vivente in un drone organico – un cyborg a tutti gli effetti – non è solo un abominio etico contro il regno animale, ma rappresenta l’apertura definitiva di una finestra di Overton sulla sorveglianza totale. Se un piccione può diventare una telecamera o un sensore mobile telecomandato, il concetto di privacy e di spazio naturale scompare.
La realtà supera la satira: ciò che un tempo avremmo letto sul sito di notizie parodistiche Lercio, oggi è documentato da video e rapporti tecnici. Chi è la vera “bestia” in questo scenario?
L’animale ridotto a macchina o l’uomo che lo ha declassato a hardware?
Dal monitoraggio dei volatili si passa rapidamente a quello degli esseri umani. Il 2025 si chiude con il settimo paziente affetto da SLA che ha ricevuto l’impianto cerebrale di Neuralink.
Se da un lato è impossibile non gioire per il miglioramento della qualità della vita di persone colpite da malattie devastanti, dall’altro non si può ignorare il quadro d’insieme.
Elon Musk, con il suo fare eclettico che mescola citazioni di Tolkien, visioni di Asimov e ambizioni spaziali, viene sempre più percepito (e si autopercepisce) come una figura messianica.
Musk non promette solo di curare, ma di “potenziare”. L’obiettivo finale di Neuralink non è limitato alla medicina riparativa, ma punta all’ibridazione uomo-macchina per evitare che l’intelligenza artificiale superi biologicamente la nostra specie.
Il problema, evidenzia Perucchietti, risiede nel metodo e nella finalità ultima.
Le torture inflitte agli animali durante le fasi di sperimentazione – scimmie e ratti sacrificati sull’altare del progresso – vengono spesso giustificate con il mantra del “bene superiore”.
Ma quando il confine tra cura e controllo diventa così sottile, chi garantisce che questi chip non diventeranno, domani, strumenti di condizionamento o di accesso diretto alla psiche umana?
L’ectogenesi e la fine del grembo materno
Un altro pilastro della distopia di fine 2025 riguarda la nascita stessa.
Il linguaggio, come sempre, è il primo campo di battaglia. Quella che una volta era chiamata “incubatrice per prematuri” sta subendo una metamorfosi semantica, venendo ribattezzata “utero artificiale” o, in termini più tecnici, Biobag.
L’Unione Europea e diversi centri di ricerca internazionali stanno spingendo su progetti che promettono di salvare neonati estremamente prematuri. Ma, come per Neuralink, la nobile causa medica funge da apripista per una rivoluzione antropologica: l’ectogenesi (la gestazione completamente esterna al corpo umano).
“È una strategia felpata”, spiega Perucchietti.
“Si parte dal caso limite, quello del bambino in pericolo di vita, per rendere accettabile una tecnologia che punta a scardinare il legame biologico madre-figlio”.
Utilizzando il grimaldello dei “buoni sentimenti”, si spalancano finestre che non verranno mai più chiuse. Se la nascita può essere delocalizzata in una sacca di plastica monitorata da algoritmi, l’essere umano diventa, fin dal primo istante, un prodotto industriale, monitorabile, modificabile e, in ultima analisi, alienato dalla propria natura.
Il filo rosso che lega i piccioni cyborg, i chip cerebrali e gli uteri artificiali è la manipolazione della percezione pubblica.
La tecnica è sempre la stessa: presentare una tecnologia potenzialmente totalitaria come la soluzione a un problema umanitario urgente.
Chi oserebbe opporsi a una ricerca che salva neonati o cura la SLA?
Nessuno, ed è qui che risiede l’astuzia del potere. Mentre la maggioranza della popolazione vive su quella che Perucchietti definisce la “montagna del sapone” – uno stato di beata e candida ignoranza – le strutture portanti della società e della biologia vengono riscritte.
Il rischio è che, nel nome del progresso e della sicurezza, si stia rinunciando a ciò che ci rende umani: l’imprevedibilità, il legame naturale, la libertà dal controllo digitale.
Il 2025 si chiude con un’immagine grottesca: un piccione con lo zainetto che vola sopra un mondo di esseri umani chip-pati, mentre in un laboratorio una Biobag “fabbrica” il cittadino del futuro.
Mentre ci prepariamo ad accogliere il 2026, l’invito che emerge da questa riflessione non è al luddismo o al rifiuto cieco della scienza, ma alla vigilanza critica.
Non dobbiamo permettere che il linguaggio tecnocratico anestetizzi la nostra capacità di giudizio etico.
Il bilancio di fine anno è dunque un monito: la realtà ha superato la fantascienza, e se non impariamo a riconoscere i meccanismi di condizionamento che si celano dietro i “miracoli” della tecnologia, potremmo risvegliarci in un mondo dove la distinzione tra naturale e artificiale sarà solo un vecchio ricordo di un’epoca passata.
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