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Su Fabbrica della Comunicazione la rubrica Libero Pensiero è cura di Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile, qui con Victor Nunzi.
La Grande Madre, o anche Grande Dea, o Dea Madre, è una divinità femminile primordiale, rinvenibile in forme molto diversificate in una vasta gamma di culture, civiltà e popolazioni di varie aree del mondo a partire dalla preistoria, nel periodo paleolitico che neolitico.
La sua figura, che rimanda al simbolismo materno della creatività, della nascita, della fertilità, della sessualità, del nutrimento e della crescita, era conosciuta ad esempio come Ninmah, Cibele, Gaia, Rea, Demetra.
Queste divinità, conesse al culto della Madre Terra esprimevano l’interminabile ciclo di nascita-sviluppo-maturità-declino-morte-rigenerazione che caratterizzava sia le vite umane, sia i cicli naturali e cosmici.
Sono appartenenti all’immaginario archetipico delle popolazioni matriarcali, Ishtar in Mesopotamia, Astarte presso i Semiti, Atar in Arabia, Hathor presso gli Egizi, Afrodite tra i Greci e i Romani e così via.
La dea Ninmah, “Signora maestosa”, era la dea che per i Sumeri della Mesaopotamia, plasmò gli uomini dall’argilla. Come Nantu, “colei che partorisce”, era la dea protettrice del parto, mentre Ninḫursaĝ, era ritenuta madre di tutte le creature viventi.
Presso gli Accadi era conosciuta come Belet-ili “Signora degli dei” e col nome di Mama, moglie di Ea, controparte accadica di Enki, era chiamata anche Damkina.
Il suo prestigio decrebbe all’accrescersi di quello di Inanna-Ishtar, ma nel suo aspetto di Damkina, quindi madre di Marduk, che divenne il dio principale a Babilonia, conservò un posto sicuro nel pantheon mesopotamico.
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