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Su Fabbrica della Comunicazione, Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile – si occupa della rubrica, “Comunicazione e Dipendenze”, in collaborazione con Studi & Salute Bolgan.

Ospite di questo appuntamento è la dott. Cristina Ombra, psicoterapeuta.

Il termine giapponese *ikigai* è spesso tradotto in modo semplicistico come “ragione di vita”, ma tale interpretazione si rivela piuttosto riduttiva rispetto alla ricchezza semantica e filosofica che esso racchiude.
Composto dagli ideogrammi iki (vivere) e gai (ragione, valore), ikigai rappresenta un fulcro spirituale, psicologico ed esistenziale nella tradizione giapponese, profondamente radicato nei principi del Buddhismo e nella cultura nipponica.
In Occidente, tuttavia, questo concetto è stato progressivamente deformato, ridotto a strumento motivazionale o metodo aziendale per il successo personale ed economico.

L’Occidente e l’appropriazione semplificata dell’ikigai

Negli ultimi decenni, numerosi approcci occidentali hanno tentato di interpretare l’*ikigai* attraverso griglie teoriche schematiche, spesso banalizzanti.
Un esempio emblematico è l’adattamento operato da un astrologo e psicologo spagnolo nel 2000, il quale ha proposto un diagramma di Venn costituito da quattro aree sovrapposte:

1. Ciò che ami fare.
2. Ciò in cui sei bravo.
3. Ciò di cui il mondo ha bisogno.
4. Ciò per cui puoi essere pagato.

Secondo questo schema, l’ikigai si troverebbe nell’intersezione di queste quattro aree, proponendosi come sintesi ideale tra passione, missione, vocazione e professione. Sebbene questo modello abbia avuto una larga diffusione, non rappresenta che una semplificazione utile a fini pratici, lontana dalla profondità spirituale e culturale dell’originale concetto giapponese.

Un altro fraintendimento noto è legato al lavoro del giornalista e divulgatore Dan Buettner, il quale, nel corso di una ricerca sulle cosiddette blue zones (aree del mondo caratterizzate da una longevità straordinaria), ha individuato nella popolazione di Okinawa uno degli esempi più significativi.
Buettner ha così correlato la lunga vita degli abitanti di Okinawa alla presenza dell’*ikigai* nelle loro esistenze quotidiane. Tuttavia, anche in questo caso il termine è stato usato con una connotazione funzionalista, legata al benessere fisico e alla felicità, piuttosto che al suo valore intrinsecamente filosofico e meditativo.

I cinque pilastri dell’ikigai secondo la tradizione giapponese

Per comprendere il significato autentico dell’ikigai, è essenziale fare riferimento ai suoi cinque pilastri fondamentali, elementi chiave della cultura giapponese e della pratica spirituale che ne deriva:

1. Cominciare in piccolo (kodawari): indica l’importanza di iniziare ogni cosa con consapevolezza, accettando i propri limiti e valorizzando le proprie risorse.
In questo approccio c’è una profonda attenzione alla qualità, all’impegno quotidiano, al miglioramento costante, senza ansia di arrivare subito alla meta.

2. Armonia e sostenibilità (wa): vivere in armonia con l’ambiente, la natura, le persone, e soprattutto con se stessi.
È un principio che si riflette nella cultura estetica giapponese, nel rispetto per il ciclo delle stagioni, nella cura dei dettagli. Qui si inserisce anche il concetto di wabi-sabi, l’accettazione dell’imperfezione e dell’impermanenza.

3. La gioia delle piccole cose: la capacità di riconoscere e godere i momenti semplici della vita quotidiana.
Un’attenzione sottile, quasi poetica, al dettaglio, che riflette una sensibilità profonda e un modo diverso di relazionarsi con il tempo e con l’esperienza.

4. Essere nel qui e ora: un principio cardine del Buddhismo Zen. L’attenzione al momento presente, la consapevolezza non giudicante e la piena presenza mentale costituiscono l’essenza della pratica meditativa, non come tecnica, ma come stato dell’essere.

5. Stare nel flusso della vita: abbandonare l’ossessione per il controllo e l’efficienza, per lasciarsi trasportare da un ritmo naturale, in sintonia con ciò che ci circonda. Questo fluire armonico è una forma di saggezza antica, che richiede fiducia, abbandono e connessione.

Dallo Zen alla meditazione: uno sguardo sulle pratiche spirituali

Il legame tra ikigai e spiritualità giapponese si manifesta in modo evidente nel Buddhismo Zen, importato in Giappone dall’India attraverso la figura di Bodhidharma.
Lo Zen propone una forma di pratica meditativa che va oltre la tecnica, proponendo una trasformazione profonda dell’individuo attraverso la rinuncia all’ego, l’auto-osservazione, la disciplina e la semplicità.
Vivere in un monastero Zen significa confrontarsi quotidianamente con se stessi, con il proprio “chiacchiericcio mentale”, la cosiddetta “mente scimmia” del Buddhismo, e imparare a convivere con essa, senza respingerla né cercare di dominarla.

In contrasto, alcune forme di spiritualità importate e adattate in Occidente – come la diffusione della Soka Gakkai, un movimento giapponese che si basa sulla recitazione del mantra “Nam-myoho-renge-kyo” – hanno guadagnato popolarità per la loro immediatezza e apparente efficacia.
Secondo molti praticanti dello Zen, tali forme producono più uno stato ipnotico che uno stato di vera consapevolezza meditativa. Sebbene innocue, esse si discostano dalla profondità esperienziale della meditazione tradizionale, che non mira al benessere momentaneo ma a una crescita personale e spirituale duratura.

L’ikigai e la piramide dei bisogni di Maslow

Un interessante tentativo di collegamento tra psicologia occidentale e filosofia orientale è quello compiuto dallo studioso giapponese Ken Mogi, il quale ha messo in relazione il concetto di ikigai con la famosa piramide dei bisogni di Abraham Maslow.
La piramide descrive una gerarchia di bisogni umani, che vanno dai più basilari (fame, sonno, sesso) fino a quelli superiori, come il senso di appartenenza, il bisogno di stima e l’autorealizzazione.

L’ikigai, in questa visione, rappresenterebbe una sorta di sintesi dei livelli superiori: un luogo psichico e spirituale in cui il senso di sé si connette al mondo, alla comunità e alla trascendenza. A differenza della visione progressiva e strutturata della piramide di Maslow, l’ikigai è concepito come qualcosa di più fluido e immanente: può coesistere con situazioni di difficoltà materiale, può manifestarsi anche in contesti umili, e non necessariamente si colloca al vertice di una scala.

Il valore del rispetto e del collettivo nella società giapponese

Un altro tratto distintivo della cultura giapponese che influisce sulla visione dell’ikigai è la centralità del rispetto reciproco e della collettività.
La vita professionale e personale in Giappone è spesso orientata a mettere le proprie competenze al servizio del gruppo, piuttosto che all’esaltazione dell’individualismo.
Questa impostazione si contrappone a una cultura occidentale sempre più marcata da competizione e autoreferenzialità.

Nel lavoro, nel vivere quotidiano e nella pratica spirituale, il Giappone conserva ancora un profondo senso della gerarchia, del sapere tramandato, dell’anzianità come valore.
La connessione tra passato, presente e futuro è costante e consapevole. Questo radicamento nella tradizione è visibile anche nell’attenzione alla lentezza, al silenzio, al vuoto: valori difficili da accogliere nella frenesia occidentale, ma che costituiscono l’humus ideale per la crescita interiore.

Il Naikan: una pratica di auto-riflessione e perdono

Una delle pratiche meditative più significative in Giappone, spesso meno conosciuta in Occidente, è il Naikan, una meditazione introspezione nata nel contesto del Buddhismo giapponese.
Essa si basa su tre domande fondamentali:

1. Da chi ho ricevuto?
2. Che cosa ho dato?
3. Che danno ho eventualmente arrecato?

Attraverso queste domande, si stimola un processo di riflessione profonda che ha lo scopo di trasformare le emozioni negative, come la rabbia e il risentimento, in consapevolezza e perdono.
La pratica del Naikan non si limita a rievocare il passato, ma invita a una responsabilità attiva nei confronti delle proprie relazioni, contribuendo a liberare energia interiore bloccata e favorendo la crescita personale.

Tradizione e modernità: un equilibrio armonico

In Giappone, tradizione e modernità convivono in un equilibrio affascinante.
L’elevato sviluppo tecnologico del paese non ha cancellato la sacralità del silenzio, la contemplazione del tempo che scorre, la ritualità della vita quotidiana.
Le influenze del Buddhismo, dello Shintoismo e del Confucianesimo permeano ancora la società e le pratiche spirituali.
Il rispetto per l’ordine naturale delle cose, per la gerarchia, per il sapere antico continua a rappresentare una bussola nella vita delle persone.

Al contrario, in molti paesi occidentali si è assistito a una progressiva perdita del legame con le radici filosofiche e spirituali.
L’accelerazione dei ritmi di vita, la ricerca dell’efficienza e il culto della produttività hanno oscurato il valore del “vuoto”, dell’inutile, del tempo lento.
In tal senso, la filosofia dell’*ikigai* rappresenta una preziosa possibilità di recupero di senso.

L’ikigai non è un obiettivo da raggiungere né una formula per il successo. È un cammino di consapevolezza, un dialogo continuo tra sé e il mondo, una pratica quotidiana fatta di piccole cose, di gesti intenzionali, di ascolto profondo.
È il risultato di un equilibrio interiore che nasce dalla comprensione dei propri desideri, dalla connessione con gli altri, dalla capacità di vivere pienamente il presente.

Recuperare il significato autentico dell’ikigai significa anche riconoscere i limiti dell’adattamento occidentale, accogliere la complessità delle filosofie orientali e mettersi in ascolto di una saggezza antica che ha ancora molto da insegnarci.

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