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La rubrica L’Altra Domenica è a cura dello scrittrice e giornalista Enrica Perucchietti e Beatrice Silenzi, direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.
La Ricerca della propria identità diventa la Parodia dell’Esistenza
Il viaggio oggi ci conduce nelle pieghe più bizzarre e patologiche della ricerca dell’identità e della perfezione estetica.
Non si parla di gattini, come scherzosamente proposto, ma di qualcosa di ben più strano: Toco, l’uomo giapponese noto come “uomo cane” che ha speso ben 14mila euro per un costume da Collie, realizzato con una tecnologia tale da sfidare l’immaginazione del più estroso costumista.
La sua aspirazione? Passeggiare in pubblico e interagire con i veri cani, i quali, ahimè, non sembravano riconoscerlo come loro simile, trovandolo forse un po’ “legnoso” nei movimenti.
La domanda sorge spontanea: cosa spinge un individuo a un tale livello di trasformazione?
E qual è il ruolo dei costumisti in queste derive?
Sembra che il mondo del cosplay, con le sue richieste sempre più ardite, abbia aperto le porte a un’industria del “diventare altro” che va ben oltre la semplice interpretazione di un personaggio.
Ma la galleria degli eccessi non si ferma qui.
La Perucchietti sarebbe un gatto! Indipendente, indifferente, capace di dormire sedici ore al giorno e mangiare senza pensieri. Una chiara fuga dalle complessità umane.
La trasformazione, tuttavia, raramente si limita a un desiderio innocuo.
Il caso di Rodrigo Alves, prima il “Ken umano” e ora “Jessica”, la “Barbie umana”, è un monito inquietante.
Con 90 interventi chirurgici e una spesa di un milione di sterline, Rodrigo/Jessica ha inseguito un ideale di bellezza talmente estremo da ritrovarsi con un viso e un corpo che sono una parodia della bambola Mattel.
Il suo naso, ormai compromesso da troppi interventi, rischia di cadere al minimo contatto.
Dunque dove sta il limite?
E perché i chirurghi estetici continuano a cedere a richieste che rasentano l’autolesionismo?
Il problema non risiede solo nel paziente, che evidentemente non si riconosce nel proprio corpo e ha un’identità confusa, ma anche, forse, nei medici che, pur di “fare cassa”, si rendono complici di questi eccessi, contravvenendo a ogni principio deontologico.
Il dibattito si sposta poi su pratiche più comuni, come le “punturine” di botox. Enrica, auto-dichiaratasi “neoluddista”, non si sottomarrebbe mai a tali trattamenti.
La riflessione: chi ci assicura che il botox, una tossina, sia innocuo a lungo termine?
E perché non riusciamo ad accettare il tempo che passa, le rughe che sono come un “album fotografico” della nostra vita?
L’ossessione di “immortalarci” in un’età indefinita spesso porta all’effetto contrario, con volti che dimostrano un’età “strana”, indefinita e artificiale.
La pressione sociale e mediatica, specialmente attraverso i social e i filtri che distorcono la percezione della realtà, gioca un ruolo enorme.
Molti giovani, spinti dalle mode e dal desiderio di conformarsi a canoni di bellezza irrealistici, si pentono poi di interventi fatti in un’età vulnerabile.
Eppure, la storia ci insegna che l’unicità è una risorsa preziosa. Attrici come Meryl Streep, Barbra Streisand o Toni Collette, pur non corrispondendo ai canoni di bellezza convenzionali, hanno costruito carriere straordinarie, utilizzando il proprio viso e corpo come strumenti espressivi, non come oggetti da modificare.
Il fenomeno non è più solo femminile. Anche gli uomini sono sempre più risucchiati in questo vortice di “schiavitù estetica”.
Una volta iniziato, il percorso è un rincorrere senza fine, dove la scelta consapevole si confonde con la pressione esterna e la fragilità interiore.
Il botox “preventivo”, la rincorsa a una giovinezza eterna per apparire sempre “iper performanti”, porta a risultati inquietanti: volti tirati e gonfi, ma corpi che si muovono con difficoltà, creando una dissonanza tra l’aspetto fisico e la realtà interiore.
La critica di Enrica è tagliente: questa non corrispondenza tra l’aspetto esteriore e l’interiorità è un fallimento.
La maturità anagrafica dovrebbe accompagnarsi a un lavoro interiore, spirituale, che ci porti ad accettare il tempo che passa e a diventare immuni alle critiche e alle richieste del “jet set”.
Il mito di Dorian Gray, con la sua perfezione esteriore che nasconde un ritratto interiore corrotto dai vizi, torna prepotentemente attuale.
La ricerca della longevità, che ha accompagnato la storia dell’uomo fin dall’alchimia e dal mito, oggi si è impoverita.
Da una cornice sacrale, mistica ed esoterica, è degenerata in un contesto meramente materiale.
Si vuole che il corpo non decada, arrivando a sottoporsi a esperimenti e operazioni che ci rendono “la parodia di noi stessi”, lasciando indietro coscienza, psiche e spirito.
La responsabilità non è solo dell’individuo. Per i più giovani, c’è un problema di fondo legato ai genitori e al contesto generale. Una figlia sedicenne che chiedesse interventi estetici dovrebbe sollevare domande non solo sul figlio, ma anche su ciò che è stato trasmesso e sul contesto in cui cresce.
L’aspirazione a essere “belli come l’attore o il divo” è un’esperienza comune dell’adolescenza, ma il passaggio dal desiderio all’azione, soprattutto in età così giovane, è un campanello d’allarme che non può essere ignorato.
La parodia dell’uomo cane e della Barbie umana ci interroga su quanto siamo disposti a sacrificare in nome di un’illusoria perfezione. Forse è tempo di bilanciare meglio gli aspetti esteriori con quelli interiori, per ritrovare un’armonia che ci permetta di invecchiare con dignità e consapevolezza.
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