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Su Fabbrica della Comunicazione la rubrica Libero Pensiero è cura di Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile, qui con Gianluca Marletta.
Per comprendere il ruolo di Donald Trump all’interno delle dinamiche religiose e geopolitiche contemporanee, è indispensabile partire dal concetto di “idea portante” che sostiene la coesione degli imperi.
Mentre in Occidente — e in particolare in Europa occidentale — il potere è stato storicamente interpretato quasi esclusivamente secondo logiche economiche, nelle grandi potenze altrettanto rilevante è l’ispirazione spirituale.
Nel corso del Novecento, la secolare frattura tra dimensione profana e dimensione sacra si è accentuata in Europa, generando una “periferia della periferia” rispetto ai veri centri decisionali.
Gli imperi necessitano di una missione che scandisca il tempo storico: se la Russia è stata la “Terza Roma” e ha visto dissolversi la propria identità culturale durante gli anni Novanta quando il liberalismo trionfava, gli Stati Uniti hanno fin dalla loro origine coltivato una visione messianica.
I padri pellegrini che fondarono le tredici colonie avevano già in mente un progetto di “popolo eletto” incaricato di inaugurare una nuova età dell’oro e un ordine mondiale differente. Privare gli USA di questa percezione significherebbe sottrarre loro la ragion d’essere.
L’idea che gli Stati Uniti siano un nuovo Israele o una seconda Roma non è soltanto retorica.
La capitale federale è modellata sul Campidoglio romano, la bandiera a stelle e strisce ha paralleli simbolici con quelle dell’antico Impero ebraico, e il sentimento escatologico permea sia il mondo cristiano evangelico sia quello ebraico ortodosso.
In entrambi i casi, infatti, la politica non è un’attività neutra ma il compimento di un disegno provvidenziale che coinvolge la totalità del cosmo, non solo la sfera individuale e privata.
Fin dalla sua prima elezione alla Casa Bianca, Donald Trump ha raccolto attorno a sé un seguito dal fascino quasi sacrale. Numerosi gruppi negli Stati Uniti e in altre parti del mondo cristiano protestante — in particolare evangelico — vedono in lui una figura antesignana di un Messia politico.
Pur non essendo venerato come Dio o Cristiano risorto, Trump è percepito da molti come il catalizzatore dell’avvento di una nuova era.
Il 7 ottobre 2024, anniversario dell’attacco di Hamas contro Israele, Trump si trovava in Polonia: lì ha compiuto una cerimonia commemorativa sulla tomba del Rebbe Menachem Mendel Schneerson, il carismatico leader del movimento Chabad-Lubavitch.
Questa congregazione, nata all’interno dell’ebraismo ortodosso conservatore, è nota per il suo proselitismo capillare e per la convinzione che l’era messianica sia ormai alle porte.
Schneerson, considerato dai suoi seguaci “il maestro del mondo che verrà”, ha influenzato anche figure chiave come Benjamin Netanyahu fin dagli anni Ottanta.
Il movimento Lubavitch, sebbene abbia il cuore pulsante a Crown Heights, New York, conta affiliati in tutto il mondo, Israel inclusa.
Il legame con Trump – accentuato dalla presenza di suo genero Jared Kushner tra i sostenitori di Chabad – si fonda sull’idea che la ricostruzione del Terzo Tempio sulla spianata del Monte del Tempio (Har HaBayit) anticipi il ritorno del Messia.
Si tratta di una prospettiva “metastorica” che va al di là delle dinamiche geopolitiche convenzionali: non più trama di poteri terreni, ma attuazione di un piano escatologico.
Parallelamente al sionismo apocalittico, l’evangelicalismo protestante statunitense ha progressivamente abbracciato una visione in cui la fine dei tempi coincide con la necessità di una riconquista assoluta di Gerusalemme da parte di Israele.
Secondo questi gruppi, per preparare il ritorno di Cristo è necessario “forzare la provvidenza”: riedificare il Terzo Tempio, spingere il popolo ebraico a insediare tutta la Cisgiordania e respingere gli arabi palestinesi.
Il fenomeno ha rilevanti ramificazioni politiche: leader evangelici partecipano ai “prayer breakfast” — celebrazioni nazionali di preghiera — persino a Mar-a-Lago, residenza privata di Trump, adornate da bandiere americane e israeliane.
Sospingono misure estreme come la deportazione dei palestinesi da Gaza, presentandole come “provvidenziali”, e vedono in Trump l’uomo che avvicinerà la Seconda Venuta.
Nonostante il destino finale per ebrei e cristiani apocalittici sia differente — il regno messianico dell’uno non coincide con il ritorno di Cristo dell’altro — le due fedi politiche percorrono un tratto di strada comune.
Entrambi i gruppi sostengono la completa sovranità d’Israele su Gerusalemme, la ricostruzione del Tempio e la caduta degli avversari arabi.
L’apice di questa convergenza si è manifestato nella medaglia d’argento coniata in Israele dopo l’elezione di Trump nel 2016, dove viene accostata la sua effigie a quella di Ciro II il Grande, liberatore degli ebrei e fondatore del Secondo Tempio.
Il legame tra il presidente americano e il governo di Tel Aviv si traduce in sostegni concreti: armi avanzate, diplomazia filo-israeliana, intransigenza verso i palestinesi.
Le bombe a profondità — studiate per colpire i tunnel sotterranei di Hamas — e il trasferimento di bombardieri B-52 con capacità nucleare nel Golfo Persico sottolineano come l’Amministrazione Trump consideri la tutela di Israele un asse centrale della sicurezza nazionale americana.
Sul piano simbolico, la rinascita di un “Nuovo Sinedrio” in Israele — organo consultivo che richiama l’antico tribunale ebraico — ha espresso un appoggio esplicito a Trump definendolo “messaggero di Dio”. Nelle sue dichiarazioni pubbliche, Paola White — nominata “direttrice spirituale” della Casa Bianca — ha affermato che opporsi a Trump significhi opporsi a Dio, una frase che in Italia suonerebbe delirante, ma negli USA rientra in un immaginario collettivo consolidato.
L’attenzione primaria di Washington sotto Trump rimane il Medio Oriente, pivot energetico e strategico globale.
Con il 35-40 % delle risorse energetiche mondiali concentrate nell’area e la promessa cinese della Nuova Via della Seta che vi confluisce, controllare il Levante significa presidiare gli equilibri del XXI secolo.
In tale contesto, la “mano tesa” verso Vladimir Putin — un corteggiamento che mira a strappare Mosca all’alleanza euroasiatica con Cina e Iran — diventa strumento per isolare Teheran, vero obiettivo finale dell’intervento militare e diplomatico statunitense.
Nella visione occidentale, la religione si riduce spesso alla dimensione privata e rituale, priva di impatto sociale diretto.
Negli Stati Uniti, invece, la religiosità è “selvaggia”, senza un corpus dottrinale centralizzato ma ricca di suggestioni prepolitiche e apocalittiche.
Jared Kushner, genero di Trump, è un membro attivo dei Lubavitch e testimonia come non si tratti soltanto di opportunismo ma di autentica fede: il potere talvolta è strumento di una religiosità profonda, non viceversa.
Anche in Italia, in una parte del panorama politico e mediatico, si registrano entusiasmi nei confronti di Trump come “liberatore” dal presunto dominio delle élite liberal.
Questa tendenza rispecchia un meccanismo di “coincidenza oppositorum”: mentre la sinistra riceve briciole simboliche (bandiere arcobaleno), la destra ottiene proclami sui “valori tradizionali”.
Si tratta però di obiettivi strumentali rispetto a progetti di portata superiore: il transumanesimo e la creazione di un potere globale centralizzato.
Dietro la facciata del deep state e delle lotte politiche visibili si celano due grandi progetti escatologici: il transumanesimo, ossia la trasformazione dell’essere umano mediante biotecnologie e intelligenza artificiale, e l’instaurazione di un ordine mondiale unificato.
Entrambi ricevono sostegno trasversale da destra e sinistra, da figure come Bill Gates e Elon Musk, e rappresentano la meta finale a cui sacrificarvi tensioni politiche “minori”.
La coesistenza di gruppi sionisti apocalittici, evangelici in preda all’attesa del Secondo Avvento e leader politici carismatici come Trump è un fenomeno complesso, tutt’altro che marginale.
Sebbene non maggioritario, coinvolge decine di milioni di persone negli Stati Uniti e si riflette in decisioni politiche che influenzano l’intero pianeta.
Distinguere le narrative dualistiche — “noi versus loro”, “destra versus sinistra” — risulta insufficiente: ciò che conta davvero è comprendere le convergenze strategiche e religiose che plasmano il XXI secolo.
In questo scenario, Donald Trump non è soltanto un attore politico, ma un simbolo vivente di un interscambio tra potere profano e aspirazioni messianiche che ridisegna confini e alleanze su scala globale.
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