di GIORGIO PANDINI

“Cameriere, mi scusi, vorrei una grigliata di mare a forma di elefante indiano, è possibile?”
“Certamente signore, gliela porto tra un’oretta”.
“Grazie mille, nel frattempo vado a fare un po’ di shopping”.
“Ottima idea! A dopo!”

Potrebbe sembrare un dialogo surreale uscito da un libro di Daniel Pennac, ma poi non siamo così lontani dalla realtà.
Tra le innovazioni più significative nei processi di produzione alimentare c’è la stampa 3D del cibo.

Avete letto bene!
Esistono stampanti 3D – simili a quelle già in uso per la produzione industriale di pezzi meccanici (e non solo) – che permettono di depositare strati di materiale viscoso, uno sopra l’altro, fino ad ottenere il piatto finito, pronto ad essere servito al cliente più esigente.

Nato dall’idea di alcuni buontemponi questo mercato, secondo le statistiche di Markets and Markets, si è imposto all’attenzione degli addetti ai lavori con una crescita ragguardevole, fino a valere quasi 201 milioni di dollari nel 2022.

Ma le previsioni prevedono un aumento ulteriore (fino a 1.941 milioni di dollari) entro i prossimi 4 anni.

Questa tecnologia – come detto – è nata per l’utilizzo di materiali sintetici: plastica, metallo, ceramica e vetro.
Attualmente si sta cercando di espanderne l’utilizzo anche in campo alimentare.

Ingegneri della Columbia University hanno perciò ideato e realizzato una peculiare stampante che, attraverso cartucce di pasta e polvere alimentare, in abbinamento con un fornello laser, è in grado di produrre prodotti commestibili.

Oltre la fantascienza dunque!
I cervelloni di cui sopra affermano che “una volta che una macchina si avvicina ad un settore, non si guarda più indietro ma solo alla successiva innovazione possibile” e l’obiettivo dichiarato è quello di creare elettrodomestici in grado di produrre cibo gourmet istantaneo.

Un momento!
Istantaneo proprio no, perchè chiunque abbia visto in azione una stampante 3D oggi sul mercato sa perfettamente che i tempi di produzione di un pezzo meccanico, neanche troppo elaborato, sono tutt’altro che veloci.
Figuriamoci quanto tempo possa richiedere la stampa di un piatto da ristorante stellato.

E sul gourmet, i vari Barbieri, Cracco e Cannavacciuolo possono dormire sonni tranquilli!

Ma vediamo nel dettaglio come funzionano queste stampanti del futuro.

Il processo di produzione 3D parte da un modello digitale creato al computer che viene poi realizzato tramite la tecnica FDM (Fused Deposition Modeling) la quale, a dispetto del nome altisonante, consiste, in sostanza, nel semplice deposito, a strati successivi di materiale semisolido prodotto da taglio, triturazione o frullatura della materia prima.

Come fare per tenere insieme questo agglomerato di sostanze?
Semplice, tramite degli additivi noti come idrocolloidi che servono a gelificare il materiale per renderlo più stabile e lavorabile.
Diversamente la scultura, chiedo scusa, il piatto avrebbe degli evidenti problemi di tenuta strutturale che rovinerebbero l’aspetto visivo e quindi l’appeal per il consumatore finale.

I sostenitori di questa nuova frontiera del gusto, naturalmente puntano a sottolineare l’aspetto green della tecnologia, definendola “antispreco” in quanto, durante la stampa, non ci sono scarti di materiale.
Questo significa produzione di rifiuti pari a zero, cosa che naturalmente trova tutti
d’accordo.

Poi però viene fuori anche un altro aspetto, parecchio controverso, a supporto della diffusione del cosiddetto Non Conventional Food “cibo non convenzionale” (come farine di insetti ed altro), che imputa la riluttanza delle persone comuni a cibarsi di grilli – si badi bene! – non per il fatto che sia di per sé agghiacciante farlo, ma solo perchè il grillo ha l’aspetto di un grillo!

Ne consegue che, se l’insetto venisse liofilizzato per essere successivamente riutilizzato per stampare, che so, un pollo, il consumatore sarebbe più invogliato a mangiarselo…

Susana Soares, designer ed ideatrice di un progetto dall’emblematico nome di “Insects au Gratin” afferma che “L’aspetto del cibo influisce sull’accettazione e sull’esperienza del gusto. Migliorando l’aspetto estetico, possiamo sfruttare risorse che altrimenti rimarrebbero inutilizzate”.
E ti credo!

Attualmente sono già in commercio, in alcuni Paesi come l’Austria, prodotti stampati in 3D.

Esiste un filetto di salmone della startup alimentare Revo Foods che in realtà non è salmone, ma un prodotto vegano realizzato con microproteine ottenute da funghi filamentosi, ricco di vitamine e acidi grassi omega-3 (tipici del vero pesce).

Sentite anche voi un leggero odore di fregatura? E l’Italia come si colloca in questo ambito?

Nel nostro Paese, la vendita di un alimento con il nome di salmone, prodotto invece con proteine vegetali non è possibile.

Nel luglio di quest’anno infatti è stato presentato un disegno di legge che vieta la produzione e la commercializzazione
di alimenti e mangimi sintetici.

Questa decisione potrebbe costringere, come conseguenza, le aziende produttrici a modificare le etichette di hamburger veg, bistecche di soia o di tofu, mortadelle vegane e prodotti simili.

Siamo rimasti uno degli ultimi baluardi all’invasione delle cavallette insomma, quindi al momento niente lasagne di grilli o pesto di ragni.
Buon appetito?