di GIORGIO PANDINI
L’Italia si trova nuovamente sotto la lente d’ingrandimento dell’Unione Europea, che ha avviato, nei confronti del nostro Paese, due distinte procedure d’infrazione.
Nel mirino di Bruxelles sono finiti da un lato il non adeguamento del nostro Paese alla direttiva Bolkestein in merito alla gestione delle concessioni balneari e, dall’altro, il presunto mancato rispetto delle normative europee sul coordinamento della sicurezza sociale e la libera circolazione dei lavoratori, con specifico riferimento all’assegno universale.
Il nodo delle concessioni demaniali è un contenzioso di lunga data.
La questione più spinosa, e di più lunga data, riguarda le concessioni di spiagge e arenili.
La Commissione Europea ha inviato un parere motivato all’Italia, il cui titolo, “Concessioni balneari in Italia/Violazione della Direttiva e dei Trattati in funzione dell’Ue”, è visibile sulla pagina web dedicata alle procedure d’infrazione.
A differenza della prassi consolidata, la missiva non è stata inclusa nel comunicato stampa settimanale della Commissione, rendendo il suo contenuto non immediatamente disponibile.
Questa mossa rappresenta un ulteriore passo in una procedura avviata già nel 2020.
All’epoca, Bruxelles aveva contestato all’Italia il modo in cui venivano rilasciate le autorizzazioni per l’uso del demanio marittimo a fini turistici e ricreativi.
L’Europa sostiene che, data la limitatezza delle risorse naturali (le spiagge), tali autorizzazioni debbano essere assegnate per un periodo definito e attraverso una procedura di selezione aperta, trasparente e basata su criteri oggettivi e non discriminatori.
Nel 2016, la Corte di giustizia dell’Unione Europea aveva già dichiarato incompatibili con il diritto comunitario le proroghe automatiche delle concessioni balneari allora vigenti in Italia.
Nonostante ciò, il nostro Paese ha continuato a estendere la validità delle autorizzazioni esistenti fino ad oggi, impedendo inoltre alle autorità locali di avviare nuove procedure di selezione, contravvenendo così alle indicazioni europee.
Ora, l’Italia ha due mesi di tempo per fornire una risposta e conformarsi alle norme comunitarie.
Una portavoce della Commissione ha precisato che l’invio del parere motivato non pregiudica le trattative in corso con le autorità italiane.
“Abbiamo inviato un parere motivato sulle concessioni balneari italiane, e questo dà ora al governo italiano due mesi per fornire risposte. Decideremo poi i prossimi passi. La nostra preferenza è sempre trovare un accordo con gli Stati membri, piuttosto che ricorrere a un procedimento giudiziario”, ha dichiarato.
Anche l’assegno universale è sotto accusa, ma il requisito di residenza è discriminatorio?
La seconda contestazione concerne il cosiddetto assegno universale per i figli a carico. Introdotto in Italia a marzo 2022, questo beneficio è erogato solamente a coloro che risiedono nel Paese da almeno due anni e convivono con i figli.
Secondo la Commissione, il requisito di residenza viola il diritto comunitario, configurandosi come una disparità di trattamento nei confronti dei cittadini europei e una discriminazione.
Le normative europee proibiscono qualsiasi requisito di residenza per l’accesso a prestazioni di sicurezza sociale come gli assegni familiari.
Il parere motivato segue una lettera di costituzione in mora inviata all’Italia lo scorso febbraio. Bruxelles ritiene che la risposta italiana alle obiezioni sollevate non sia stata soddisfacente.
Anche in questo caso, l’Italia ha a disposizione due mesi per rispondere e adottare le misure correttive necessarie. In assenza di un adeguamento, la Commissione potrebbe decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia dell’UE.
Le due procedure d’infrazione rappresentano un chiaro segnale da parte di Bruxelles che intende garantire l’applicazione uniforme delle sue normative in tutti gli Stati membri. Ora la palla passa al Governo italiano.