di BEATRICE SILENZI

Il settimanale The Economist esce con uno speciale sulla riproduzione assistita.

Making Babymaking Better (ovvero Migliorare il Fare-Bambini) è il titolo che riconosce come le performance della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) – in alcuni decenni – siano in miglioramento, eppure, la percentuale dei tentativi che non vanno a buon fine è molto elevata, siamo a quota 80 percento.

È il fallimento di tecniche che, al momento, nulla possono rispetto all’età della donna: poiché la menopausa è ancora un processo duro da aggirare.

Ad oggi, un numero sempre crescente di giovani donne ricorre al congelamento (o vetrificazione) di ovociti da utilizzare in età più avanzata (perché non si sa mai…!).

Poiché una persona su sei ha problemi di infertilità, viene detto, si rende necessario un maggiore impegno nella ricerca scientifica al fine di minimizzare i rischi di queste pratiche, massimizzandone i risultati.

Il settimanale stima che – dall’inizio della pratica – dodici milioni di persone siano state concepite in provetta, eppure la scienza non ha ancora saputo cogliere il principio cardine della vita: in che modo l’embrione si impianta nell’utero.

Così, mentre la ricerca va avanti per cercare di stare al passo con la Natura, la Danimarca si piazza in testa alla classifica delle nazioni con il miglior risultato delle nascite in vitro (9 percento).

Studi Statunitensi e Giapponesi, nel frattempo, sembrano essere prossimi a regalare validi risultati sul fronte della creazione di ovociti (gametogenesi), partendo da cellule staminali che derivano dalla pelle e dal sangue.

Sperimentata con qualche piccolo successo sui topi, questa tecnica renderebbe addirittura possibile la paternità biologica ad entrambi gli uomini di una coppia omosessuale senza il contributo di gameti femminili!

Sembra semplice.

Un uomo mette il seme, l’altro lo pseudo-ovocita derivato dalle sue cellule staminali.

Problema. Manca un utero in cui far crescere il feto, cosa di non poco conto, certo, tuttavia aggirabile, almeno per il momento, grazie al “supporto” di una madre surrogata (sempre finché non sarà disponibile un utero artificiale!).

Ma non è finita qui.

The Economist sottolinea anche la rilevanza economica del settore e l’interesse crescente degli investitori che spingono la politica ad una sempre maggiore apertura legislativa a queste tecniche rivoluzionarie.

“Così come la rivoluzione sessuale negli anni ’60 e ’70 ha dato alle donne la possibilità di non avere bambini se non li volevano, le tecnologie emergenti potrebbero dare avvio a una nuova rivoluzione permettendo alle donne – e agli uomini – di avere tutti i bambini che vogliono quando li vogliono”.

Il ricco dossier di The Economist ha sollevato molte polemiche, com’era logico prevedere.

Alcuni si chiedono se sia corretto affermare che “i bambini della provetta godono di buona salute come tutti gli altri”.

Purtroppo, si moltiplicano gli studi a dimostrazione del fatto che i bambini nati da fecondazione assistita, hanno un rischio maggiore e statisticamente significativo di sviluppare diverse patologie.

I difetti congeniti alla nascita e i disturbi neurologici (autismo o qualsiasi altra difficoltà di apprendimento) sono più elevati rispetto ai bambini concepiti naturalmente.

Inoltre, c’è sempre un maggior rischio di nascite multiple (poiché viene trasferito più di un embrione nell’utero, per massimizzare le possibilità di rimanere incinta) rispetto alle nascite naturali.

Altri, poi, si domandano se sia giusto concentrarsi su nuove tecnologie, anziché considerare l’ipotesi di una politica di prevenzione contro l’infertilità, per restituire ai giovani il naturale potere di riprodursi.

Perché fare figli oltre la scadenza dell’età fertile e non incentivare una sensata politica di sostegno per il lavoro e di valorizzazione della maternità?