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Su Fabbrica della Comunicazione, la rubrica della domenica mattina a cura di Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile – con Enrica Perucchietti si chiama L’Altra Domenica.

La nuova trasposizione Disney: un esperimento fallito?

L’ultimo adattamento live-action di *Biancaneve e i Sette Nani* si è trasformato in un caso mediatico, non tanto per il successo, quanto per le reazioni negative che ha scatenato. I
l film, presentato come una rivisitazione “moderna” del classico del 1937, sembra aver deluso sia i nostalgici dell’originale Disney sia chi si aspettava una rilettura innovativa ma coerente.

La pellicola, infatti, è stata definita da molti critici “orribile”, “noiosa” e “esteticamente discutibile”, con una valutazione media precipitata al 2,4/10 prima della sospensione delle recensioni su diverse piattaforme.
Uno degli aspetti più contestati riguarda la riscrittura del personaggio di Biancaneve.

Nella versione originale dei fratelli Grimm, ripresa poi da Disney, la protagonista incarna un ideale di purezza e innocenza, simboleggiato dalla pelle “bianca come la neve”, labbra “rosse come il sangue” e capelli “neri come l’ebano”.
Nel nuovo film, invece, questi elementi vengono smantellati in nome di un’inclusività che, secondo i detrattori, suona forzata.

Biancaneve non è più descritta attraverso gli stereotipi estetici tradizionali, ma la sua caratterizzazione risulta ambigua: il nome stesso perde il legame con l’aspetto fisico, diventando un semplice riferimento alla neve presente il giorno della sua nascita.

La scelta di allontanarsi dall’iconografia classica ha generato polemiche. Se da un lato è comprensibile il tentativo di evitare modelli considerati obsoleti, dall’altro la mancanza di una visione alternativa solida ha lasciato il personaggio privo di identità.

La regina cattiva, interpretata da Gal Gadot, non convince nella sua rappresentazione di “invidia patologica”, mentre i sette nani, realizzati in CGI, sono stati giudicati esteticamente poco curati e privi del carisma che li rese memorabili nel cartone animato.

Un confronto con le fonti: dal macabro al fiabesco

La discussione sul film ha riacceso il dibattito sulle origini oscure delle fiabe.
La versione dei fratelli Grimm di *Biancaneve* è infatti carica di elementi macabri: la regina ordina di uccidere la figliastra e di portarle cuore e fegato come trofei; Biancaneve, di appena sette anni, viene avvelenata e il principe la osserva in una bara di vetro, decidendo di portarla via nonostante la creda morta (un dettaglio che solleva implicazioni necrofile).

Disney nel 1937 edulcorò la trama, trasformandola in una storia romantica e adatta a un pubblico familiare, con un linguaggio visivo rivoluzionario per l’epoca.
La nuova trasposizione, invece, sembra navigare in acque incerte: non abbraccia né il horror delle origini né il romanticismo disneyano, optando per un mix di elementi “woke” e trovate narrative confusionarie.

L’assenza del principe azzurro (sostituito da una figura secondaria descritta come “un bandito mezzo rincoglionito”) e l’enfasi sull’autodeterminazione di Biancaneve, seppur encomiabile nelle intenzioni, risultano poco sviluppate, riducendosi a uno slogan più che a un arco narrativo compiuto.

La questione estetica: tra CGI e animaletti

Se c’è un elemento che ha ricevuto consensi unanimi, è la rappresentazione degli animali del bosco.
Scoiattoli, cerbiatti e leprotti, ripresi con uno stile che ricorda *Bambi*, rappresentano l’unico fulcro di poesia visiva in un film altrimenti piatto.
Peccato che tali sequenze siano marginali e non riescano a compensare gli effetti digitali giudicati “orribili” per i nani e gli ambienti, percepiti come privi di profondità e dettaglio.

Critiche letterarie e cancel culture: il caso Galimberti

Il dibattito sul film si intreccia con un tema più ampio: la rilettura (o il rifiuto) dei classici nella cultura contemporanea. Recentemente, il filosofo Umberto Galimberti ha attaccato *I Promessi Sposi*, definendo il personaggio di Lucia Mondella “un modello femminile pericoloso” per la sua sottomissione passiva.

Una posizione simile a quella della scrittrice Susanna Tamaro, che in passato ha criticato l’insegnamento obbligatorio de *I Malavoglia* di Giovanni Verga, considerandolo troppo distante dalla sensibilità moderna.

Queste prese di posizione sollevano domande sulla legittimità di “aggiornare” i classici per adattarli al presente.
Se da un lato è giusto interrogarsi su narrazioni che perpetuano stereotipi, dall’altro il rischio è cancellare opere fondamentali per comprendere il contesto storico e culturale da cui emergono.

*I Promessi Sposi*, ad esempio, non è solo una storia d’amore, ma un affresco della società seicentesca, mentre *I Malavoglia* esplora temi universali come la lotta contro il destino e il conflitto tra progresso e tradizione.

In un contesto dove il dibattito culturale spesso sfocia nello scontro, una recente sentenza ha stabilito che definire “novax” una persona costituisce diffamazione aggravata se associata a stereotipi denigratori.

La decisione apre a possibili risarcimenti per chi si è sentito ingiustamente etichettato durante le polemiche vaccinali. Il caso riporta alla mente le esternazioni di Galimberti, che nel 2021 paragonò i no-vax ai “fanatici di Medjugorje”, auspicando trattamenti sanitari coatti.

Il flop della nuova *Biancaneve* dimostra quanto sia complesso reinventare un’icona senza una visione chiara.
Il pubblico sembra respingere non tanto la modernizzazione in sé, quanto l’assenza di rispetto per la fonte originale e la mancanza di qualità artistica.

Allo stesso tempo, le polemiche su classici letterari e libertà di espressione rivelano una società in bilico tra revisionismo e conservazione, dove il passato è spesso letto attraverso le lenti del presente.

Forse, invece di forzare riletture ideologiche, varrebbe la pena creare nuove storie che riflettano i valori contemporanei, senza sacrificare il patrimonio culturale esistente. Come dimostrano gli scoiattoli di Biancaneve, a volte è proprio nei dettagli più semplici che si nasconde la magia.

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