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Su Fabbrica della Comunicazione, la rubrica Approfondimento Stoico è a cura dello scrittore ed antifilosofo Michele Putrino e Beatrice Silenzi, direttore responsabile.

Due visioni del mondo a confronto

Nel mondo contemporaneo, dominato da incertezze e segnali allarmanti provenienti da ogni direzione, è sempre più diffusa la percezione di vivere in un’epoca di trasformazione radicale.
Guerre, instabilità economiche, crisi ambientali e culturali sembrano accavallarsi in un crescendo di caos e disorientamento.
In questo scenario, si delineano due principali modalità interpretative per comprendere la realtà che ci circonda: una di stampo materialista e dialettico, l’altra ciclica e spirituale. La riflessione che segue esplora questi due approcci, analizzando le loro implicazioni sulla nostra visione della storia e del destino umano.

La prima interpretazione, oggi molto diffusa nel cosiddetto “mondo del dissenso”, è quella che potremmo definire una visione cospirazionista e dialettica della storia.
Secondo questo modello, gli eventi che accadono – dai conflitti internazionali alle crisi economiche – non sarebbero frutto di dinamiche spontanee, ma il risultato di un disegno orchestrato da élite potenti e occulte.
Queste élite agirebbero come burattinai, muovendo i fili dell’umanità secondo logiche di dominio, profitto e controllo.

Questo tipo di lettura affonda le radici nella tradizione filosofica marxista, dove la storia è concepita come una lotta tra classi e dove l’azione umana – spesso intesa come manipolazione del potere – è centrale nello sviluppo degli eventi.
Il mondo è visto come il teatro di una continua contesa tra oppressi e oppressori, tra sfruttatori e sfruttati. È una visione fortemente antropocentrica e materialista, nella quale l’uomo assume il ruolo di artefice e vittima degli avvenimenti storici.

Tuttavia, questa impostazione comporta anche delle ricadute esistenziali pesanti. L’idea che tutto sia deciso da altri, che esistano forze oscure capaci di piegare il destino collettivo, può generare frustrazione, impotenza e un senso di costante sospetto.
Si cade così in una logica del sospetto permanente, dove ogni evento è letto come parte di una strategia nascosta, portando a una radicalizzazione delle opinioni e a una frammentazione anche interna ai movimenti di dissenso.

Il ritorno alla visione naturale e spirituale

In netto contrasto con la visione appena descritta, vi è un secondo approccio, molto più antico e profondo, che interpreta gli eventi della storia e della società come parte di un ciclo cosmico.
Questa visione ha origini nella filosofia pre-socratica, con Eraclito, ed è stata poi sviluppata dagli Stoici, da Giambattista Vico, Friedrich Nietzsche, Oswald Spengler, Martin Heidegger e altri pensatori della tradizione europea. Essa è anche sorprendentemente affine a molte filosofie orientali, come il Taoismo.

Secondo questa lettura, il mondo e la storia si muovono secondo cicli naturali: nascita, sviluppo, decadenza e morte. Nulla è lineare, nulla è definitivo. Ogni civiltà, come ogni organismo vivente, nasce, cresce, invecchia e muore. Questo processo è governato dalla natura stessa, intesa come forza divina e universale, che tutto regola secondo leggi eterne e impersonali.

In questa prospettiva, ciò che accade oggi – crisi economiche, collassi sociali, declino morale – non è altro che una fase prevedibile del ciclo vitale di una civiltà.
Il mondo moderno, con la sua iper-tecnologizzazione, il distacco dalla natura e la perdita di senso, si trova probabilmente nella fase terminale di un ciclo storico.
Ma, come insegna anche l’alchimia e come si osserva nel ciclo della vita biologica, dalla morte può nascere una nuova vita. Dentro ogni rovina si nasconde il seme della rinascita.

Uno degli aspetti più interessanti di questa visione ciclica è che non si tratta di un fatalismo passivo. Non si afferma che “tutto è scritto” e che “nulla può essere cambiato”.
Al contrario, l’individuo che sente un richiamo interiore verso valori, principi, ordine e spiritualità – proprio in tempi di disgregazione – non è un’anomalia o un nostalgico.
È, piuttosto, un seme piantato dalla natura stessa per costruire il nuovo. Il suo compito è quello di custodire il senso del sacro, della verità e della bellezza in un mondo che sembra averli smarriti.

Chi percepisce il disordine non è un estraneo a questo mondo: è qui per un motivo. La sua esistenza non è frutto del caso, ma parte integrante del ciclo. In altre parole, chi oggi si sente fuori posto, in realtà è semplicemente in anticipo sul nuovo ordine che nascerà dopo l’attuale caos.
Questo messaggio offre una visione sorprendentemente ottimista e responsabilizzante: non bisogna cambiare il mondo intero, ma custodire il proprio seme, essere testimoni del vero e del giusto in tempi di rovina.

Natura, città e la perdita del senso ciclico

Un altro tema centrale di questa riflessione riguarda il rapporto tra l’uomo e la natura. Le città, oggi simbolo della modernità, sono anche il luogo dove si è consumata la rottura tra l’essere umano e i cicli naturali.
In un contesto urbano iperantropizzato, si perde la percezione del tempo naturale: non si sentono più le stagioni, non si osservano più i ritmi di nascita e morte. Tutto è artificiale, standardizzato, meccanico.

Chi vive in città spesso si illude che il progresso sia illimitato, che la tecnologia risolverà ogni problema, che la civiltà sia destinata a un’eterna ascesa. Ma questa è un’illusione, frutto della separazione dal reale.
Chi invece vive a contatto con la natura – come un tempo i “pagani”, abitanti del *pagus*, ovvero delle campagne – è più consapevole del fatto che ogni cosa ha un inizio e una fine, e che solo ciò che è conforme ai cicli della natura può durare.

In questo senso, il ritorno alla natura, alla terra, alle tradizioni non è un passatismo romantico, ma una scelta profondamente moderna e rivoluzionaria.
È il tentativo di ristabilire un legame con le forze originarie della vita, di riappropriarsi di un senso del tempo e dell’essere che è andato perduto nel rumore delle città.

Questo processo di riscoperta non è solo individuale, ma anche culturale. Molti artisti, pensatori e intellettuali hanno compiuto, nel corso della loro vita, un percorso simile: dal centro alla periferia, dalla modernità alla tradizione, dalla razionalità alla spiritualità.
È il caso, ad esempio, del cantautore Franco Battiato, che dopo anni vissuti a Milano, decise di tornare in Sicilia. La sua produzione artistica cambiò radicalmente, riflettendo un approccio più mistico, contemplativo e armonico con il mondo naturale.

Questo stesso ritorno alla natura, alla spiritualità, alla ciclicità degli eventi, accomuna culture lontanissime tra loro. Lo stoicismo greco e romano, ad esempio, presenta sorprendenti affinità con il pensiero taoista cinese.
Entrambe le visioni riconoscono la centralità dell’armonia con il cosmo, della virtù come allineamento con il flusso naturale delle cose, dell’accettazione come forma suprema di saggezza.
Queste somiglianze non derivano da influenze culturali dirette, ma da un’osservazione condivisa della natura, valida in ogni luogo del mondo.

La tragedia della civiltà: espansione, distacco, caduta

La costruzione di una civiltà segue un percorso tipico: si parte da un equilibrio con la natura, si sviluppano strutture sociali e culturali, si producono benessere e progresso.
Ma questo stesso progresso porta, col tempo, a un’espansione incontrollata, che allontana l’uomo dalle sue origini. La città si gonfia, si complica, diventa insostenibile.
Alla fine, il ciclo si chiude con una crisi, una decadenza, un crollo. Questo schema è stato analizzato da Spengler nel suo capolavoro “Il tramonto dell’Occidente”, che interpreta le civiltà come organismi viventi destinati inevitabilmente alla fine.

L’uomo moderno, immerso nella globalizzazione, nell’intelligenza artificiale, nella produzione automatizzata, si trova ora nella fase terminale di questo ciclo. Il collasso è imminente, e non serve a nulla opporsi con rabbia o con l’illusione del ritorno all’età dell’oro.
È invece fondamentale comprendere il senso profondo di ciò che accade: siamo testimoni di un passaggio, di un crepuscolo che porterà, come sempre, a una nuova alba.

A conclusione di questa riflessione, vale la pena richiamare una metafora cara agli Stoici: quella del cane legato al carro. Il carro rappresenta il destino, il flusso inarrestabile degli eventi.
Il cane, cioè l’uomo, può scegliere se seguire il carro volontariamente o essere trascinato contro la sua volontà. In entrambi i casi, il carro andrà avanti. Ma solo nel primo caso l’uomo conserva la sua dignità e agisce secondo la sua natura.

Questa metafora racchiude il senso profondo della saggezza ciclica: non si tratta di rassegnarsi, ma di comprendere la direzione della storia e allinearsi ad essa senza perdere sé stessi.
Non è conformismo, né rinuncia. È, al contrario, l’espressione più alta della libertà interiore: essere ciò che si è, nel tempo che ci è stato dato.

In questo senso, il vero cambiamento non è quello politico o tecnico, ma quello mentale e spirituale.
È necessario un salto di coscienza, un cambio di paradigma che ci consenta di accettare il flusso della vita e di riconoscere, dentro di noi, il seme del nuovo mondo che verrà. Solo così potremo vivere questa epoca non come una fine, ma come un inizio. 

Per approfondire:

IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE DI OSWALD SPENGLER.

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